La concorrenza è un bene, ma in Italia non ha stima

ITALIA. La concorrenza ricorda la democrazia, che suona brutto. Evoca conflitti, competizioni, uguaglianze nei punti di partenza, tutte cose scomode.

Il Governo ha varato molto controvoglia una legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere obbligatoriamente annuale, ma che da quando fu introdotta 15 anni fa, è stata presentata una sola volta in modo organico nel 2017. Era necessaria per obbligo del Pnrr, salvo perdere la prossima tranche di aiuti. Il testo è peraltro deludente. Parla soprattutto di concessioni autostradali, in chiave statalista. Si aspettava qualcosa sui taxi e in effetti c’è, ma solo per inasprire le pene degli abusivi. Giusto, ma perché fare la fila alle stazioni? Silenzio sui balneari, pur essendo aperta una procedura di violazione per aver ignorato - destra e sinistra unite - la direttiva Bolkeistein che risale addirittura al 2009. Finita la tregua elettorale, ora che Meloni ha portato la Nazione all’opposizione, c’è un nuovo rischio quote latte, con multe a carico dei contribuenti.

L’ultimo tentativo di insabbiamento ha addirittura violentato la geografia, per dimostrare che vi sono abbondanti spiagge libere. Provare a cercare per credere, in questi giorni di vacanze. Nelle spiagge attrezzate, i prezzi dei lettini invece superano spesso i 300 euro al giorno. Libero di pagare chi può permetterselo, ma che dire degli irrisori corrispettivi al proprietario delle spiagge, cioè tutti noi? Gli incassi di una settimana al Papeete e al Twiga coprono l’intero affitto annuale, e l’introito complessivo del Demanio è di 132 milioni, su un fatturato misurato in decine di miliardi. Eppure, il 9 agosto, i balneari sciopereranno per protesta, avendo comunque una ragione: la vaghezza sulle regole, tra proroghe, eccezioni, finti studi econometrici.

Se cercate un taxi a Roma, preparatevi ad attendere sotto il sole per ore. La politica è letteralmente in ostaggio: niente nuove licenze, niente Uber. E pensare che ancora a luglio, la Corte Costituzionale ha censurato il blocco delle licenze Ncc per «aver causato un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività». Ma chi tutela i consumatori? Poche ed esibizionistiche associazioni, messe ai margini dalla pretesa dei sindacati di essere loro i veri rappresentanti del popolo. Quando si parla di pesi e contrappesi per il funzionamento equilibrato di una democrazia, a questo si pensa: Agenzia per la concorrenza, Corte Costituzionale, Consiglio di Stato, regolazione europea. Ma questo Governo (e molti prima) sembra considerarli inciampi rispetto all’intrigante scambio elettorale con le minoranze organizzate.

Si protesta contro le critiche Ue sullo stato di diritto in Italia, ma non c’è solo TeleMeloni, che tanto appassiona la politica romana. C’è una strisciante, vischiosa, accidiosa politica che penalizza i deboli e favorisce i prepotenti. Il problema è ovviamente culturale. La parola concorrenza non gode della minima stima nel nostro Paese. Se guardiamo alla storia, il successo è arriso sempre alle corporazioni, da quelle medioevali a quelle del Ventennio, ce l’abbiamo nel Dna. Poco importa che, la più grande istituzione da 100 anni a questa parte, e cioè l’Unione europea, sia stata tutta costruita attorno a questo concetto. Anzi, l’Ue è «antipatica» anche per questo. Viva i sussidi, i bonus, le zone franche, le protezioni. Concorrenza ricorda la meritocrazia, che suona brutto. Evoca conflitti, competizioni, uguaglianze nei punti di partenza, tutte cose scomode. La politica ama da matti le eccezioni alla regola concorrenziale. Come notava Luigi Einaudi, la legislazione si esercita con vigorosa energia se mai nella difesa dei monopoli, statali e non solo. Quando nel 1990 (ministro dell’Industria era Valerio Zanone) fu varata la normativa antitrust, buoni ultimi in Occidente, c’era ancora una proterva norma che non consentiva la vendita di auto giapponesi in Italia. Dato che ciò che andava bene alla Fiat andava bene all’Italia, nessuno si scandalizzava.

Ora si parla di fabbricare da noi auto cinesi elettriche e i primi a sollecitare la cosa sono gli industriali torinesi. I tempi cambiano. Ma l’inganno del protezionismo è già un’ombra che si allunga sul dopo 5 novembre, dovesse vincere Trump. Concorrenza? No grazie, c’è il rischio che vincano i migliori e i prezzi scendano.

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