La coerente incoerenza di chi deve governare

ITALIA. È stato Massimo D’Alema, in cerca di una nuova vita dopo il collasso del comunismo - «il Dio che ha fallito», per dirla con Artur Koestler - a proporre agli italiani un programma che fosse lontano mille miglia dall’utopia tradita: fare del nostro un «Paese normale».

Sembrava un programma minimalista. Si è dimostrato invece un proposito massimalista, quasi utopico. È passato infatti un trentennio e ci ritroviamo con un Paese, altro che normale: anormale, anormalissimo, almeno se si assume come parametro di riferimento il modello invalso di democrazia. Non ci appare normale che una democrazia liberale sia governata da un partito (FdI) che si riconosce in una tradizione neofascista. Non ci può risultare normale nemmeno che il partito storico della sinistra (il Pd), uso a scegliere i suoi vertici sulla base di una lunga, comprovata attestazione di fedeltà alla «ditta», si sia affidato ad una «papessa straniera» (la Schlein), che fino al giorno prima non aveva nemmeno la tessera del partito e non ne era stata - per usare un eufemismo - nemmeno amica.

Parimenti, come potremmo giudicare normale un partito (il M5S) che si propone come la vera, unica forza incontaminata della sinistra quando vanta la guida del governo (Conte-Salvini) più a destra (fino alla Meloni) della storia repubblicana? Anormalità per anormalità, non si potrebbe dire normale pure che un premier faccia al governo quel che da leader dell’opposizione aveva detto di non voler fare e di non fare quello che prometteva di voler fare. Meloni era euroscettica ed è diventata fido europea. Nutriva non poche, e nemmeno troppo velate, simpatie per Putin, e si è riscoperta accesa atlantista. Agitava lo spettro del blocco navale per farla finita con l’immigrazione clandestina e si è rivelata più che ospitale con gli extracomunitari che sbarcano sulle nostre coste.

Prometteva l’abrogazione della legge Fornero e ora si muove di fatto sulle sue orme. Gridava allo scandalo della politica dell’austerità imposta da Bruxelles e firma un bilancio rispettoso, nei limiti del possibile, dei vincoli di spesa imposti dal debito esorbitante accumulato da governi dalla spesa facile. Ultimo dato che ci fa pensare di essere un Paese poco normale è che Meloni risulta apprezzata dall’opinione pubblica proprio per una sua vantata coerenza, pur essendo un premier per molti versi incoerente – s’è appena visto - con le promesse della campagna elettorale.

Tutto ciò non deve sconcertare. È paradossale solo all’apparenza. È infatti il risultato di un’operazione impropria. Avendo assunto un criterio di normalità desunto da un astratto modello di democrazia, è inevitabile che la realtà ci appaia fuori norma. Il fatto è che l’elettore non giudica chi governa col metro della sua coerenza con le promesse fatte in campagna elettorale. Lo apprezza soprattutto se fa – come s’usa dire - quello che dice. È su questo terreno che rilascia attestati di coerenza.

Lo stesso discorso, a ben guardare, vale per l’opposizione. Perde tempo se pensa di inchiodare il governo alle promesse tradite. L’opinione pubblica guarda - e giudica - la qualità, la credibilità, la fattibilità della politica che essa propugna in alternativa al governo. È guardando al presente e non al passato che formula i suoi giudizi. Come si vede, alla fin dei conti il nostro Paese risulta molto meno anormale di quel che pare.

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