L'Editoriale / Bergamo Città
Giovedì 22 Dicembre 2022
La campagna di Lombardia e i destini
di Trenord
Trasporti. Ogni giorno 600mila pendolari si muovono (o almeno ci provano, diciamo così...) con Trenord.
Prima della pandemia erano 850mila, numeri che valgono il traffico di Piemonte, Veneto e Toscana messo insieme. Con i suoi 10 milioni di abitanti la Lombardia ha un potenziale di passeggeri degno di uno Stato europeo di medie dimensioni, ma un servizio ferroviario oggettivamente non all’altezza. Lo dicono i risultati della complessa esperienza di Trenord, lo conferma la campagna elettorale in corso.
Diciamolo subito, il contesto non è quello ideale per affrontare il tema considerando che lungo la strada (anche ferrata) che conduce alle urne si è soliti promettere tutto e il contrario di tutto, ma qualche considerazione di sano realismo va fatta, proprio per rispetto di quelle 600mila persone che ogni giorno passano ore a bordo dei treni.
La Regione ha investito sul materiale rotabile? Sì, lo dicono gli oltre 2 miliardi spesi per l’acquisto di nuovi treni. Se non fosse che i tempi medi di consegna dell’industria pesante sono lunghi per definizione, i produttori non tantissimi (a meno di accettare qualche proposta made in China, con relativi dubbi sull’omologazione) e il Covid ci ha pure messo lo zampino.
Ma proseguiamo nel nostro viaggio: l’esperienza paritetica in Trenord con Trenitalia è stata positiva? No e per almeno due motivi. Il primo: quote uguali sono un formidabile alibi per non decidere. Il secondo: è vero che Gruppo Ferrovie e Regione (tramite Fnm) sono alla pari, ma i binari sono di Rfi, ergo delle Ferrovie medesime. E qui l’equilibrio va bellamente a farsi benedire, come ben si è visto in questi 11 anni di matrimonio. Non riuscito, è evidente, tanto più con una Regione nel duplice (e poco gestibile) ruolo di controllore e gestore del servizio. E ora che si fa? Anche se si decidesse di defenestrare Trenitalia dalla società e giocare in proprio resterebbe comunque il nodo dell’infrastruttura, cioè di Rfi.
A questo punto bisogna essere onesti e ammettere che al di là delle semplificazioni elettorali la questione non è di facile soluzione. O meglio, lo è solo in un caso: non rinnovare con Trenord, alzare bandiera bianca, rimettere nel cassetto le ambizioni di una lombarda società del ferro di formigoniana concezione (perché è in quel contesto che nasce tutto) e restituire il pacchetto completo a Trenitalia. Che assicura già il servizio nelle altre 19 regioni del Belpaese e, a detta delle opposizioni, con standard migliori. Al netto di numeri molto inferiori a quelli lombardi (solo il Lazio con oltre 500mila passeggeri/giorno pre Covid può competere), se la cosa è vera vale la pena di provare, con tutte le compensazioni del caso sul fronte del materiale rotabile acquistato e in arrivo.
C’è invece chi chiede a gran voce la gara europea, considerata foriera di qualità rispetto a un monopolio. Concettualmente il ragionamento non fa una grinza, in pratica però nessuno in Europa ha mai messo all’asta la rete regionale intera, semmai solo qualche linea secondaria. Ed è proprio su questa dimensione che si potrebbe cominciare ad agire per vedere l’effetto che fa (per dirla alla Jannacci), ma avendo ben chiaro che un conto è la Brescia-Piadena, un altro la Lombardia intera.
E ricordando anche che per cucinare uno spezzatino, pure ferroviario, occorre essere dei buoni cuochi (quindi prima avere la ricetta giusta) e che sullo sfondo c’è comunque un reale problema di costi che rende sì la Lombardia appetibile per traffico ma non per le tariffe praticate. Di certo servono alternative reali e non solo promesse elettorali, perché a urne chiuse e Consiglio rinnovato il rischio di finire su un binario morto è a un passo. Alla prossima stazione, praticamente.
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