La campagna elettorale e la realtà delle città

IL VOTO. Dalle urne della vicina Brescia, Capitale della cultura 2023 in tandem con Bergamo, arrivano indicazioni interessanti in vista della contesa per Palafrizzoni, in agenda il prossimo anno.

La riconferma del centrosinistra alla Loggia è un chiaro segno di continuità, quella che del resto aveva già caratterizzato gli ultimi mandati. Il parallelo appare spontaneo, anche se in ogni città i rapporti tra le varie componenti sociali, seppure apparentemente simili, fanno un po’ storia a sé, e Brescia e Bergamo non fanno eccezione. Simili sì, ma comunque non uguali e la differenza è spesso anche sostanziale. Ciò che emerge semmai in modo chiaro è che un certo modo di fare politica e campagna elettorale improntato a una visione (eccessivamente, a tratti totalmente) negativa dell’operato dell’amministrazione uscente non paga. Anzi, viene punita nelle urne già dal primo turno, assumendo quasi i tratti di una sentenza inappellabile.

Intendiamoci, è persino ovvio che le dinamiche elettorali si sviluppino sulla critica di quanto fatto da chi è al governo della città, diversamente non ci sarebbero proposte alternative. La differenza, oltre alla qualità vera di queste ultime, la fa però il modo, la narrazione della città che si vorrebbe cambiare. E presentarla solo come un posto ai margini , degradato, teatro di criminalità e negatività, da criticare a prescindere non paga: soprattutto in realtà come le nostre da sempre - al di là del colore politico - ben amministrate e con sindaci e Giunte di assoluto valore. A volte di centrodestra, più spesso di centrosinistra (il dato è meramente temporale, dal 1995 al 2024 fanno 10 anni contro 19), ma comunque sempre di livello. Ed è indiscutibile.

Ed è questo forse l’errore più evidente fatto dal centrodestra a Brescia: una narrazione talmente negativa da stridere con la realtà, a tal punto da essere rifiutata dai cittadini (non necessariamente di centrosinistra) quasi con orgoglio. Alla fine sono stati i bresciani stessi a non riconoscersi nell’immagine proposta dal candidato e dai partiti dell’opposizione, ancora prima che nel programma. E il discorso può essere spostato pari pari 50 chilometri più a ovest, dove le prime avvisaglie della campagna elettorale che sarà appaiono molto simili, soprattutto in alcune componenti del centrodestra particolarmente attive sui social, molto impegnate nel presentare Bergamo sotto una luce prevalentemente (se non esclusivamente) negativa.

Per carità, le cose che non vanno non mancano, quelle da migliorare pure, ma nell’ottica della storia di una città - da sempre, lo ripetiamo - ben amministrata. Ed è proprio per questo motivo che la contesa elettorale non può ridursi a visioni tra l’apocalittico e il nichilista, ma deve essere capace di entrare nel vivo dei temi con proposte serie, alternative e sostenibili. Non con sparate da social, tra le altre cose approvate e supportare da cerchie ristrette di soliti noti che trovano consenso solo nei click ma che quando si cimentano con le urne normalmente raggiungono percentuali da prefisso telefonico, perché questa non è la città reale.

Un certo qual estremismo da tastiera non può condizionare quella capacità - che c’è sempre stata da tutti i lati - di saper leggere Bergamo nelle sue complesse sfaccettature e proporre di conseguenza modelli di governo alternativi e credibili. E non paga nemmeno la calata in massa di ministri a supporto, tanto più paventando rapporti privilegiati tra i diversi livelli territoriali di governo: tutto già visto e senza risultati eclatanti. Anzi. Quello che conta davvero è semmai una visione della città che non può che partire dalla realtà delle cose. Sempre migliorabile, ci mancherebbe, ma mai da negare nei suoi lati positivi che fortunatamente non mancano: la conferma è arrivata dalle urne, da chi cioè la città la vive davvero.

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