La Bossi-Fini, le anomalie e i tanti nodi da sciogliere

ITALIA. La legge Bossi-Fini, approvata 22 anni fa, che regola le politiche migratorie in Italia, è stata per decenni la bandiera del centrodestra, ma senza particolare entusiasmo.

Fin dall’inizio la sinistra l’ha criticata per le sue falle, per non parlare delle organizzazioni non governative che si occupano di accoglienza ai migranti, ma anche dall’altra parte infatti non sono mancate le denunce e le perplessità. Sostituiva la precedente Turco-Napolitano, anch’essa criticatissima e ormai inadeguata alle nuove spinte migratorie, soprattutto quelle provenienti dall’Africa e dall’Asia. Ieri la premier Giorgia Meloni ha voltato pagina, unendosi decisamente al coro dei critici della legge. Non solo: ha pure presentato un anomalo esposto sulle infiltrazioni criminali nei flussi migratori.

Come è noto, la legge dei fondatori della Lega e di An è un sistema di regole complicatissimo, tale da far impazzire le prefetture. Prevede anche l’esame dattiloscopico dei migranti, con il rilevamento delle impronte digitali, come per pregiudicati, sanzioni severe per i falsi matrimoni ed espulsioni per gli irregolari. Criticatissima anche la gestione dei richiedenti asilo per via dei centri di identificazione e di detenzione, per non parlare dei respingimenti in Paesi dove vige la dittatura, la guerra o gravi violazioni dei diritti umani.

Ma la misura che la caratterizza – e che la Meloni vuol rivedere - è il decreto flussi, ovvero quell’atto amministrativo annuale che determina la quota massima di extracomunitari autorizzata a sbarcare in Italia per motivi di lavoro. Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto i datori di lavoro, attraverso la procedura telematica del ministero dell’Interno, chiedono il nulla osta a far entrare la manodopera straniera che gli serve. La domanda viene inviata allo Sportello Unico per l’immigrazione che lo rilascia a determinate condizioni (che rientri nella quota stabilita, che non ci siano italiani a concorrere a quel posto, che non esistano divieti delle questure, che rispetti i criteri contrattuali). A quel punto il migrante che ha fatto precedentemente domanda sbarca in Italia. Domanda e offerta si incontrano.

Il problema è che solo una parte firma realmente un contratto. E gli altri? Finiscono per lavorare in nero o scompaiono senza lasciare traccia. Come hanno denunciato diverse organizzazioni, ispettorati del lavoro e appurato le forze dell’ordine è probabile che entrino in gioco anche organizzazioni criminali o di caporalato o semplicemente mediatori con le entrate giuste. Ci sono dei dati abbastanza chiari che lo fanno pensare: come mai i «prescelti» arrivano quasi tutti dal Bangladesh? La Regione da cui arrivano più domande è la Campania, dove ci sono meno imprese e più disoccupati italiani. E allora perché proprio qui si registra il maggior numero di domande accolte (7 su 10)? Dai dati diffusi da Palazzo Chigi, sui permessi per lavoro stagionale, cioè per lavoro in campo agricolo o turistico-alberghiero, nel 2023, su un totale di 282.000 domande, 157.000 arrivano dalla Campania, mentre 20.000 arrivano dalla Puglia. Solo che, per esempio nel settore agricolo, la Puglia ha circa il 12% delle imprese agricole italiane e la Campania solo il 6. Come è possibile? Da dove viene questo fabbisogno di stranieri?

I migranti entrano con un regolare visto ma poi non trovano ad accoglierli il datore di lavoro. Niente contratto, niente permesso di soggiorno, destino inevitabile da irregolare nelle mani delle organizzazioni criminali a cui molti di loro hanno già pagato una tangente per entrare in Italia. La Meloni con una mossa decisamente anomala è andata a denunciare la cosa in magistratura, negli uffici della Direzione Nazionale Antimafia. Ovviamente il procuratore trasmetterà la denuncia alle procure, molte delle quali peraltro già indagano su questi episodi. Ma la mossa è anomala per almeno due motivi. Il primo è che la Dna non è una magistratura inquirente, non fa indagini ma coordina il lavoro delle altre procure antimafia. Il secondo è che il capo dell’Esecutivo di fronte a un problema rilevato si preoccupa soprattutto di agire amministrativamente e di fare leggi insieme alla sua maggioranza in Parlamento che possano impedire quel fenomeno, oltre a denunciare eventuali irregolarità.

«Consentiremo in Italia solo l’ingresso di chi ha già un contratto di lavoro», ha poi annunciato la Meloni. Una nuova stretta. Ma in questo modo l’offerta dei datori di lavoro onesti rimarrà fortemente insoddisfatta. Per non parlare di quelle migliaia di migranti entrati in Italia con la speranza di un lavoro e rimasti con le mani in mano, senza un permesso di soggiorno per attesa di occupazione. Che ne sarà di loro?

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