Ko in Umbria, governo
ancora più fragile

Il voto in Umbria per il momento ci consegna una maggioranza in pieno stato confusionale e un’opposizione euforica oltre ogni limite. Che cosa accadrà nelle prossime settimane o mesi non è ancora chiaro. Si potrebbe pensare che, di fronte ad una sconfitta di questo genere, i giallo-rossi serrino i ranghi per non darla vinta a Salvini e mandino avanti il governo almeno fino all’elezione del nuovo Capo dello Stato cercando di stancare la Lega costretta all’attesa. E forse sarà proprio questo che avverrà almeno per un po’ di tempo, ma più per un istinto di sopravvivenza che per un lucido disegno. Per la ragione che di lucidità tra i giallo-rossi in questo momento se ne vede ben poca.

Cominciamo dal leader più ammaccato di tutti, Luigi Di Maio. Non voleva l’alleanza col Pd, gliel’ha imposta Grillo, e adesso paga lui le conseguenze della bocciatura umbra. Che è andata male oltre ogni più pessimistica previsione. Bastano i numeri: in Umbria il M5S alle politiche del 2018 prese il 27 per cento che alle europee di maggio scorso si ridusse al 14 e che adesso si è dimezzato al 7 e qualcosa. Non è una sconfitta, è un tracollo, anzi peggio: è l’annuncio della sparizione. Tutto questo pesa sulle spalle del giovane capo di Afragola. Che naturalmente non ci sta a pagare lui per tutti. Solo che non sa cosa fare. Dice: «Noi Cinque Stelle perdiamo sia che ci alleiamo con la Lega sia che governiamo col Pd».

Dunque Salvini e Zingaretti pari sono: va da sé che il segretario del Pd non l’ha presa bene. E ha reagito con un’asprezza insolita in un uomo che la Roma politica ha soprannominato «Saponetta». Ha detto: «O voi grillini confermate la lealtà alla maggioranza o il governo lo facciamo cadere noi». Di sicuro di alleanze regionali Pd-M5S non se ne vedranno più, né in Emilia Romagna né in Campania, né in Calabria e forse nemmeno in Puglia. Franceschini, primo teorico dell’«alleanza organica» tra democratici e grillini, non si dà pace: «Che senso ha dividersi – chiede – perché uniti si perde? Divisi si perde anche peggio». Ma non attacca.

Di Maio vuol salvare quel che gli rimane dell’ex patrimonio elettorale pentastellato e non vuol più sentir parlare di alleanze regionali. Quanto al governo nazionale, non è chiaro cosa voglia fare. O cosa gli imporranno di fare. La contestazione interna è scatenata ed è sostenuta da tutti quelli che sono stati esclusi dal governo che hanno deciso di puntare direttamente alla testa di Di Maio.

Quanto al Pd, prova a fare la voce del partner «forte» ora che i grillini sono ai minimi termini: in fondo la sinistra ha sì perso l’Umbria «rossa» dopo cinquant’anni di dominio incontrastato, ma è pur sempre un partito del 22 per cento di voti, il secondo dopo la Lega, e dunque chiede che i grillini ne prendano atto.

È probabile che di tutto ciò pagherà le spese la manovra economica che, arrivata in Parlamento, sarà strattonata da una parte e dall’altra. Ognuno punterà ad accontentare il proprio elettorato, compreso Renzi che si è defilato dalla gara umbra, ha definito «una genialata» la foto di Narni con Di Maio-Conte- Zingaretti-Speranza, e vuol continuare a giocare il suo potere di interdizione sul governo. Però anche lui, come il Pd, come il M5S, non vuole andare a votare ora: gli altri rischierebbero grosso ma anche alla sua Italia Viva non andrebbe granché bene.

Nel frattempo Salvini si gode lo spettacolo. Ha restituito lo schiaffone che ha preso in agosto e si prepara a dare l’assalto alle altre regioni per fare l’en plein e puntare di nuovo alle elezioni anticipate. Se la Lega conquistasse l’Emilia Romagna, allora sì che il governo cadrebbe subito. Lui ci punta, insieme alla Meloni – che ha un partito che cresce sempre di più – e con Forza Italia ormai rassegnata a convivere in un centrodestra quasi tutto sovranista.

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