Kiev, i missili sull’ospedale pediatrico e le ipocrisie

MONDO. C’è sempre un filo di ipocrisia in certe reazioni alle stragi di guerra, acme di crimini quotidiani che invece lasciano indifferenti. Martedì 9 luglio l’esercito russo ha sparato 40 missili su città ucraine provocando almeno 36 morti e 125 feriti.

Un micidiale «Kh-101» è stato lanciato sull’ospedale pediatrico Okhmadyt, il più importante del Paese, e su una clinica ostetrica a Kiev: nella notte scorsa si scavava ancora fra le macerie alla ricerca di corpi. Ma sono due anni e mezzo che in Ucraina si consumano due guerre: la prima fra eserciti lungo mille chilometri di fronte attraverso il Donbas e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia. È la parte del conflitto nota e discussa, baricentro di un possibile negoziato: Vladimir Putin chiede alle truppe «di casa» di ritirarsi da queste zone per avviare una trattativa per un cessate il fuoco.

La seconda guerra si abbatte su città e villaggi lontani dal fronte e privi di obiettivi militari. È a senso unico: missili russi e droni esplosivi di fabbricazione iraniana ogni giorno, soprattutto di notte, vengono scagliati su edifici civili indifesi. Il bilancio è terrificante: una media di 47 fra morti e feriti gravi ogni 24 ore, 150mila case distrutte, abbattute o danneggiate 3.678 scuole e asili , oltre mille fra ospedali, posti di primo soccorso e ambulatori medici, 300 biblioteche regionali e poi sedi universitarie e chiese, il 60% delle centrali per la produzione di elettricità. Non sono «fake news atlantiste» ma crimini (secondo il diritto umanitario internazionale) certificati da Onu, Oms, Unhcr, le ong Medici senza frontiere e Save the Children. Nessuna strategia militare può giustificare questa deliberata devastazione: l’obiettivo è seminare terrore fra gli ucraini costringendoli alla fuga o alla rivolta.

Recentemente la Corte penale internazionale dell’Aja ha emesso mandati di cattura nei confronti dell’ex ministro della Difesa russo Sergei Shoigu e di Valery Gerasimov, Capo di Stato maggiore, per crimini di guerra e contro l’umanità: hanno diretto attacchi contro i civili e gli obiettivi non militari. Ma nel dibattito pubblico italiano questo secondo fronte è omesso. Altrimenti si scoprirebbe che l’Ucraina per proteggere i cieli dai lanci russi lontani dal fronte avrebbe bisogno di 25 scudi antimissile ma ne possiede solo sette. Il discusso via libera a colpire con razzi la Russia in realtà prevede una specifica: l’obiettivo non può essere la Russia in generale ma le postazioni al di là del confine ucraino dalle quali vengono bombardate da mesi città come Kharkiv. In alternativa a sistemi di difesa adeguati, il governo di Kiev procede con la costruzione di bunker, obbligatori in particolare per le scuole.

E anche in guerra i vuoti (nella difesa) si riempiono. Durante una visita a Varsavia, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ieri ha firmato un accordo di sicurezza con il premier Donald Tusk: la Polonia potrà abbattere razzi nei cieli ucraini. Zelensky ha poi chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Intanto il presidente cinese Xi Jinping ha invitato alla ripresa del dialogo, durante un incontro con il premier ungherese Viktor Orban. Ma chi vuole davvero raggiungere l’obiettivo della pace dovrebbe uscire da posizioni generiche. A Putin ad esempio si potrebbe chiedere di chiudere prioritariamente il secondo conflitto, il deliberato e reiterato bombardamento di edifici civili che non hanno alcuna attinenza con la contesa militare. È una strategia criminale e controproducente anche per Mosca: in due anni e mezzo non ha portato alla resa della popolazione ucraina ma ha instillato negli aggrediti un forte senso di patimento di lutti, distruzioni e di una macroscopica ingiustizia, generando una domanda di riparazione quando non di vendetta.

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