Kiev, il blitz in Russia. Le debolezze di Mosca

MONDO. L’incursione dell’esercito ucraino in territorio russo iniziata quattro giorni fa ha colto di sorpresa non solo Mosca ma anche gli alleati di Kiev, a cominciare dagli Usa.

Un’iniziativa ardita era nell’aria e il ministro della Difesa del Cremlino ne aveva chiesto conto all’omologo americano in una recente telefonata. Ma nessuno era arrivato ad ipotizzare un’avanzata militare in territorio nemico, appena oltre il confine. Agendo con mille soldati, carri armati, scudi antimissile e mezzi corazzati, l’esercito ucraino finora è riuscito a prendere il controllo di 350 km quadrati russi, compresa la cittadina di Sudzha dove si trova una stazione di transito del gas per l’Europa (nonostante le sanzioni una quota viene ancora esportata per rispettare contratti in essere in particolare con Germania e Austria: Mosca incassa 40 miliardi di euro all’anno).

I dettagli dell’incursione e dei suoi effetti sono ovviamente tenuti nascosti dalle due parti. Così come non sono stati chiariti da Kiev gli obiettivi dell’operazione. «La Russia ha portato la guerra nel nostro territorio e dovrebbe sentire su di sé ciò che ha fatto» si è limitato a dire il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Le finalità potrebbero essere diverse: distrarre l’esercito di Mosca dalla linea del fronte dove avanza molto lentamente (10 km conquistati da gennaio), ledere con un effetto sorpresa l’idea dell’incolumità del territorio russo, mostrare agli ucraini che se anche i loro soldati non riescono a recuperare territori hanno però altre opzioni. Ma anche scompaginare una zona dalla quale il Cremlino colpisce ogni giorno il Paese occupato, sventando una ventilata offensiva su Sumy, bombardata ogni giorno da mesi. Oppure entrare in possesso di aree da scambiare nell’ambito di un negoziato. L’esercito di Kiev è a soli 10 km dalla centrale nucleare di Kursk mentre i russi da marzo 2022 sono insediati in un analogo impianto ucraino vicino a Zaporizhzhia.

Il bombardamento di un supermercato ieri nel Donbass, che ha provocato 10 vittime, non va letto come la risposta di Mosca all’incursione sul proprio territorio: da quasi due anni e mezzo l’Ucraina è martoriata da questi raid che colpiscono obiettivi civili, case ma anche scuole e ospedali. La reazione del Cremlino al blitz appare lenta e l’intenzione non è spostare truppe impegnate nello Stato occupato. A Kursk sono state inviate brigate provenienti dalla capitale e da San Pietroburgo, con tempi più lunghi per lo schieramento.

Incursioni in Russia erano già avvenute nella regione di Belgorod ma da parte di gruppi ribelli che combattono con Kiev, come la «Legione per la libertà della Russia». Sorprende come il Cremlino non presidi e non abbia il controllo totale di aree di confine a pochi chilometri dal conflitto che ha scatenato. Una debolezza che svela l’ipocrisia della motivazione dell’invasione su larga scala: poche ore dopo che era scattata, all’alba del 24 febbraio 2022 parlando alla nazione Vladimir Putin disse che l’«operazione militare speciale» aveva uno scopo preventivo, per scongiurare un attacco alla Russia da parte dell’Ucraina. Uno Stato che è dotato del secondo esercito del mondo teme di essere colpito e non ha nemmeno disposto un ferreo controllo nelle aree di frontiera? E come fu possibile che nel luglio 2023 la compagnia paramilitare Wagner avanzò fino a 200 km da Mosca senza incontrare resistenza, per poi fermarsi? Nel maggio 2023 invece alcuni droni esplosivi colpirono addirittura la cupola del Cremlino, simbolo del potere putiniano non protetto da sistemi antimissile. Comunque finirà l’incursione ucraina nella regione di Kursk, è di tutta evidenza che la Russia non temeva una guerra sul proprio territorio non avendo assunto un assetto adeguato all’eventuale minaccia. La guerra invece l’ha portata in Ucraina, punendo un’intera popolazione ritenuta colpevole del desiderio di non sottostare più al giogo moscovita.

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