L'Editoriale
Martedì 07 Giugno 2022
Johnson in salvo, ma braccato da tutti
Boris Johnson continua a scamparla, inseguito da una muta di politici di entrambi gli schieramenti sempre più arrabbiati che vogliono il suo sfratto da Downing Street. Ieri sera il premier ha strappato il rinnovo nella consultazione a scrutinio segreto sulla sua leadership del Partito Conservatore (da cui dipende direttamente, per via del sistema maggioritario «secco» britannico, la poltrona di primo ministro).
La rivolta contro «BoJo» covava da dentro, era stata innescata da una parte del gruppo di maggioranza in seguito allo scandalo «Partygate». Il malcontento dei conservatori negli ultimi giorni è cresciuto come un fiume in piena. Il risultato, reso noto dal presidente dell’organismo interno incaricato di sovrintendere le rese dei conti in casa Tory, ha sancito 211 voti a favore di Johnson, ma ben 148 contrari: una spaccatura che lo indebolisce e potrebbe non bastare a blindarlo nel prossimo futuro. La maggioranza richiesta era 180. Tra Downing Street e le sue dimissioni ci sono dunque solo 30 deputati del Parlamento inglese. Non solo l’opposizione, come è naturale, ma ora le fila dei suoi nemici si ingrossano anche in casa. Ieri sera l’ha scampata per l’ennesima volta di fronte al «no confidence vote» innescato dai suoi stessi colleghi di partito, i Tories. Ma potrebbe essere davvero l’inizio della fine per il più grossolano e allo stesso tempo astuto imbonitore politico che l’Inghilterra abbia mai avuto. Lui non ci fa caso, o almeno finge di ostentare indifferenza. «Dovrà essere letteralmente trascinato fuori da Downing street pur di non dimettersi», ha ripetuto più volte la famosa politologa Sarah Hobolt della London School of Economics. E Johnson vorrebbe addirittura utilizzare questa vittoria risicata per rafforzarsi.
Ma ormai a Westminster è come la caccia alla volpe, dove la volpe è, appunto, Boris Johnson, l’ex altezzoso studente di Eton e Oxford trasformato in populista, capace di farsi votare dai più poveri del Regno Unito in nome della Brexit. Il problema per lui è che i conservatori non perdonano. I Tories e i Liberali infatti hanno sempre saputo liberarsi subito dei loro leader, da Churchill alla Thatcher, fino a Teresa May, figuriamoci quello che possono fare per disfarsi di Bojo, il più discusso dei premier discussi, uno che mentre imperversava la pandemia e la gente non poteva nemmeno andare ai funerali o assistere i parenti morenti, lui incoraggiava i suoi funzionari a partecipare a un party e a brindare senza rispettare le misure di sicurezza anti Covid.
Come Churchill, Boris Johnson ha costruito una carriera giornalistica. Solo che Churchill partecipò alla guerra boera in Sudafrica. Lui, invece, più modestamente, è arrivato a fabbricare articoli di scarso valore. In politica ha avuto più fortuna. Nel 2016 ha «inventato» un milione di migranti che prendevano d’assalto le coste inglesi per vincere il referendum sulla Brexit, prima di confondere le idee, nel 2019, persino alla Regina Elisabetta, convincendola che era legale sospendere il Parlamento per dare il via alle elezioni.
Ora però i nodi stanno venendo al pettine. E il pettine si chiama economia britannica. A causa della Brexit tutti gli indici macroeconomici volgono al negativo e non si sa quando si fermeranno. Le elites economico-finanziarie lo stanno abbandonando e anche le zone dell’Inghilterra profonda che lo avevano votato cominciano a ripensarci. Come ha detto Sir Charles Walker, autorevole deputato dei Tories, «Boris ha vinto, ma quel che conta è cosa accadrà ora. Caleremo il sipario su questa vicenda o ci sarà una guerriglia politica per i prossimi 12, 18, 24 mesi»?
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