Italia, Paese
a due velocità

La questione meridionale non è nata ieri, si trascina da decenni. Il Nord del Paese riesce a essere competitivo a livello europeo, quantomeno in alcuni settori industriali, mentre il Sud resta al palo. Il recente rapporto Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) mette in evidenza come i giovani al Sud emigrano e lo fanno in un numero doppio rispetto all’immigrazione. Di fatto, si importa manovalanza e si esportano cervelli, o quantomeno coloro che un’istruzione l’hanno avuta e sono approdati a lauree e diplomi.

Del resto non si può pensare di offrire posti di lavoro se non si fanno investimenti. Di tutto il rapporto Svimez, il vero messaggio che tracima da ogni capitolo è la necessità di avviare un piano di sviluppo. Una politica industriale che identifichi il ruolo del Paese nella competizione mondiale e lo articoli nelle varie parti del Paese. Dal 2000 in poi è in atto una divisione del lavoro internazionale che determina gerarchie in una sfida per la leadership mondiale. Cina e Stati Uniti si contendono la supremazia nella ricerca tecnologica, punto di snodo cruciale per i servizi che già rendono giganti come Google, Facebook, Amazon o la cinese Huawei, per dire solo alcuni nomi, tra i più noti dominatori incontrastati del mercato.

In un quadro di questa portata, che ruolo deve dunque svolgere l’Italia? Anni fa l’avvocato Agnelli, in visita a Tokyo, si sentì dire che l’Italia poteva contare su tre eccellenze: l’arte, il cibo e il paesaggio. Grande la delusione per un costruttore di automobili, ma vista dal lontano Oriente la questione ci appare quantomeno profetica per un Paese come il nostro che ha perso i grandi gruppi industriali e vede ora la sua forza nelle cosiddette quattro A: abbigliamento, arredamento, alimentari e automazione con gomma e chimica. Dopo la crisi del 2007 i settori di punta dell’industria italiana hanno patito, ma poi si sono ripresi ed ora determinano con l’export un surplus nella bilancia commerciale. Questo e nient’altro ci ha salvato dalla catastrofe finanziaria, sino a indurre i mercati a non scappare dai titoli di Stato italiani. La differenza con la Grecia sta tutta qui. I greci non hanno un apparato industriale assimilabile a quello italiano.

L’Italia è un Paese bifronte, ha aspetti di eccellenza e capacità competitiva, ma in forma e in quantità tale da non poter nascondere la debolezza di un territorio che si estende per un buon terzo della superficie nazionale. Dalle statistiche emerge purtroppo il quadro di un Paese in coda alle classifiche internazionali. Se si distinguesse nei dati aggregati, emergerebbero due Italie: una europea e saldamente legata alle linee territoriali che segnano l’Europa che conta, l’altra inevitabilmente trascinata verso l’altra sponda del Mediterraneo. La Francia con la Germania, i Paesi del Benelux e, appunto, il Nord Italia.

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