Italia esterofila
con la lingua più studiata

Fondo europeo per la ripresa è la versione italiana ma i media si ostinano a chiamarlo Recovery Fund. Succede però che la pronuncia di «fund» viene lasciata all’arbitrio di chi ne fa un uso disinvolto,col risultato di rendersi spesso incomprensibile. Lo ha fatto notare di recente il presidente della Commissione Finanze della Camera dei deputati Luigi Marattin. Nei Paesi di tradizione germanica , quindi anglosassoni, scandinavi e tedeschi, il gesto non accompagna il parlato. Quindi o si pronuncia giusto o non si viene capiti. La vocazione italiana a farsi capire con le mani tende a compensare l’approssimazione del suono linguistico. Un retaggio antico che si comprende ma non si giustifica soprattutto negli operatori dei media. I mezzobusto della televisione si permettono scivoloni linguistici e di pronuncia che ai loro colleghi dei telegiornali europei non verrebbero mai perdonati. E tutto questo perché le scuole di dizione non hanno cittadinanza, si parla come si mangia. Potremmo dire l’approssimazione come cifra del vivere nazionale.

Allergia alla definizione dei dettagli, vocazione all’enunciazione e ritrosia a definirne la realizzazione in termini pratici e di efficienza, sono i segni del degrado. Questo spiega per esempio perché le manutenzioni nelle opere pubbliche per l’Italia siano la cenerentola - come i fatti tragici dei ponti crollati stanno a dimostrare - mentre l’annuncio del ponte o tunnel di Messina avvince le fantasie e immediatamente crea le fazioni di chi è contro e di chi è a favore. Guida la passione più che la ragione come in un’eterna partita di pallone. Quello della correttezza fonetica può certamente diventare una fisima di purismo linguistico ma a volte è anche un segno del tempo. La lingua italiana ha il suo primo documento ufficiale nel Placito Capuano del 960 d. C., una tradizione che trova nel latino il suo riferimento. In Italia non siamo obbligati a pronunciare suoni estranei alla nostra lingua, ci sono tutti gli estremi per renderli conformi all’idioma nazionale. I francesi tengono alla loro lingua in modo financo parossistico ma è un fatto che computer non è passato e subito si è trovata l’espressione adeguata in «ordinateur». Nel nostro caso il termine «fund» deriva dal latino «fundus» che trova la sua versione italiana in «fondo». Perché dunque usare la terminologia inglese tanto più se non si conosce l’esatta pronuncia? È il mistero del provincialismo esterofilo che nega alla propria lingua la dignità che merita.

Per restare in tema il cosiddetto piano Marshall del 1947 aveva come sua espressione ufficiale European recovery program (Erp) ma nessuno lo conosce con questa definizione. Ha prevalso il buon senso linguistico e un appropriato riferimento alla persona che se ne fece promotrice.

Nel 2021 sono 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Il presidente Mattarella rende onore alla tomba restaurata per l’occasione a Ravenna ma la gratificazione per la lingua italiana viene dall’estero. L’italiano resta la lingua più studiata del francese ed è la quarta più ricercata del mondo dopo l’inglese, lo spagnolo e il cinese. Solo noi madrelingua parlanti temiamo di darle il valore che merita. Il retaggio di secoli di dominazione straniera si fanno sentire inconsapevolmente nell’ossequio per tutto ciò che viene dall’ estero. Ed in effetti i soldi ora arrivano dall’Europa, ma noi siamo l’Europa. E lo siamo a maggior ragione se diamo valore alla nostra identità culturale e quindi alla nostra lingua. Che è poi quello che desiderano anche i nostri partner. Perché un’Italia più consapevole di sé è un’Italia più forte. Un’Italia che sa badare a se stessa e non disdegna la fatica per uscire coi propri mezzi dalle difficoltà.

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