L'Editoriale
Sabato 29 Giugno 2019
Ipotesi minibot
Sogno Eurobond
Si fa sempre più acceso il dibattito sui «Minibot», previsti nel contratto di governo tra Lega e M5s, indicati come possibile mezzo per il pagamento dei debiti che la Pubblica amministrazione ha ancora nei confronti delle imprese. C’è chi sostiene che rappresenterebbero una moneta alternativa all’euro e che darebbero un evidente segnale della volontà, più volte manifestata da qualche economista della Lega, di uscire dall’Europa. In realtà l’euro, emesso dalla Bce, rappresenta l’unico mezzo di pagamento legale nell’ambito della Comunità europea. Dunque i Minibot, se venissero emessi, darebbero vita ad una moneta illegale, come hanno avuto modo di chiarire il presidente della Bce Mario Draghi e il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Da ultimo sono stati sconfessati anche dal sottosegretario della Lega Giorgetti. Se non sono moneta, quindi, i minibot non possono che rappresentare un’ulteriore forma d’indebitamento da parte dello Stato, che va ad accrescere il nostro già enorme debito pubblico.
Nel corso di alcuni dibattiti televisivi si è addirittura sentito parlare di Minibot e Minibond come se fossero la stessa cosa. Siamo ormai abituati ad una certa approssimazione e superficialità che contraddistingue il linguaggio di politici e opinionisti, ma non avere contezza della differenza tra due strumenti finanziari così diversi lascia perplessi e ci dovrebbe preoccupare non poco. Se i Minibot rappresentano un’ulteriore forma d’indebitamento da parte dello Stato, i Minibond sono invece titoli di debito emessi prevalentemente da Pmi, cooperative e Mutue assicuratrici con più di 10 dipendenti e bilancio superiore a 2 milioni di euro, che vengono sottoscritti da investitori professionali e qualificati come banche, fondi, Sim, casse previdenziali e fondazioni. Questi titoli di debito sono stati introdotti sul mercato finanziario con il Decreto Sviluppo del 2012 poiché, a seguito delle conseguenze della crisi iniziata nel 2018 che ha prodotto una netta restrizione del credito bancario, si riteneva necessario fornire alle Pmi l’opportunità di canali alternativi di finanziamento. Secondo l’Osservatorio-Minibond del Politecnico di Milano, al 31 dicembre 2018 sono stati emessi Minibond per un valore nominale pari a 25,300 miliardi di euro che hanno, in qualche misura, aiutato le imprese a produrre ricchezza reale e a fare crescere il Pil e l’occupazione. L’utilizzo di questi prodotti finanziari da parte delle imprese dovrebbe essere ulteriormente stimolato dal governo che si è detto impegnato, anche attraverso una crescita più incisiva dell’economia, a ridurre il rapporto tra debito e Pil.
Sarebbe opportuno anche che il governo, visto il suo dichiarato impegno a cambiare le regole in Europa, riapra il dibattito sulla possibilità di emettere Eurobond, riprendendo l’iniziativa che ha visto protagonista in passato l’ex ministro dell’Economia Tremonti. Gli Eurobond sarebbero obbligazioni garantite in solido da tutti gli Stati membri della Comunità e avrebbero un tasso d’interesse molto basso con effetti stabilizzanti sui bilanci. Creerebbero inoltre un mercato obbligazionario europeo unico di dimensioni sufficienti per impedire eventuali attacchi speculativi. Purtroppo, non sono mai stati emessi per l’opposizione di alcuni Paesi europei, in primis la Germania, decisamente contrari alla «mutualizzazione» dei rischi tra Paesi con debiti pubblici di diversa entità.
Quella degli Eurobond è un’opportunità che potrebbe essere riconsiderata una volta insediatesi le nuove Commissioni che avranno tutto l’interesse di mettere all’angolo gli euroscettici, trovando soluzioni in grado di rilanciare il progetto europeo. Certo è che il problema della «mutualizzazione» dei rischi potrebbe essere più facilmente superato se tutti i Paesi più indebitati, come il nostro, si facessero promotori di un piano pluriennale credibile di diminuzione del debito pubblico.
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