
(Foto di Ansa)
MONDO. La decisione del Parlamento tedesco di varare una legge costituzionale che consente maggiore indebitamento, viene salutata da molti come la fine di un’era, quella del rigore finanziario teutonico che orientava la politica fiscale dell’Unione e, di riflesso, limitava la possibilità di fare deficit anche agli altri Paesi, fra cui l’Italia.
A casa nostra c’è chi festeggia, illudendosi di non dover più sottostare a fastidiose limitazioni della spesa per evitare deficit eccessivi. Ma questo sarebbe un grosso equivoco: il cosiddetto fiscal compac t, o per meglio dire il Patto di stabilità e crescita aggiornato nel 2024, rimane pienamente in essere e non apre alcuno spiraglio di maggiore deficit e tantomeno è un viatico per il varo del debito comune a livello europeo. La Germania ha approvato un piano pluriennale di investimenti in infrastrutture e difesa che potrebbe addirittura superare i mille miliardi, prevedendo la possibilità di finanziarne una parte facendo ricorso a nuovo indebitamento. Di questi, 500 miliardi potrebbero essere disponibili a breve. Ciò comporta anche il superamento, limitato, dell’obbligo di pareggio di bilancio scritto nella costituzione tedesca. Da qui ad affermare che i tedeschi rinunceranno al rigore finanziario, proprio e degli altri, ovviamente molto ci corre.
Ma la decisione è comunque importante per due ragioni fondamentali di segno opposto. La prima, quella positiva, sono gli ingenti investimenti della Germania nei prossimi anni. Ciò significa maggiore domanda e crescita nel principale Paese dell’Unione, con ricadute favorevoli anche sull’Italia, dati gli intensi e consolidati legami fra i due sistemi industriali. Però bisogna fare attenzione perché la connessione oggi si sviluppa soprattutto lungo alcune filiere produttive, specialmente quella dell’automotive, che potrebbero non essere fra le maggiormente interessate dai nuovi investimenti, che si indirizzeranno prevalentemente verso la transizione energetica e il settore degli armamenti. Il secondo effetto della decisione tedesca potrebbe essere un esito sfavorevole sul nostro debito pubblico. Quando è stata annunciata la decisione, i titoli tedeschi sono calati di prezzo, facendo aumentare il rendimento del decennale all’incirca dal 2 al 3%. I mercati, prevedendo in futuro una grande quantità di offerta di bund tedeschi, hanno fatto scendere le quotazioni di quelli già in circolazione e hanno fatto salire il costo per i nuovi collocamenti.
In buona sostanza, il costo del debito pubblico tedesco è aumentato. Facile immaginare che questo effetto si traslerà anche sui titoli italiani, perché ci sarà una maggiore concorrenza per accaparrarsi il risparmio con cui finanziare queste emissioni. Anche i tedeschi, come l’Unione europea, puntano a coinvolgere direttamente il risparmio privato in questi vasti progetti, ma ciò alla fine cambia poco: più domanda significa sempre prezzi (del credito) più alti. Possiamo aspettarci un aiutino dalla Bce? In questa nuova situazione, ci potrebbe essere un atteggiamento di politica monetaria più accomodante, con maggiore immissione di liquidità per favore i nuovi collocamenti, a prezzo però di alimentare rischi inflazionistici. Questo scenario non mi pare probabile, né auspicabile. Dunque, per quanto sembri paradossale, gli investimenti dei tedeschi comporteranno dei costi anche per l’Italia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA