Inverno demografico e pensioni, una risposta

MONDO. Una parola per definire il nostro tempo è cambiamento. Assistiamo al cambiamento climatico, a quello digitale e tecnologico, a quello energetico e a quello demografico. Non vi è area della nostra vita pubblica e privata che non risenta dello stress che il mutare continuo produce.

Anche in Germania come in Italia la questione demografica è aperta. Su due persone, una supera i 45 anni e ogni cinque persone ce n’è una con più di 66 anni. Il buco generazionale è colmato a nord delle Alpi da 14,6 milioni di stranieri (su 84 milioni di abitanti) che contribuiscono a ringiovanire la popolazione. Il numero degli arrivati supera quello degli espatriati per motivi di studio o di lavoro e quindi contribuisce a far crescere la popolazione. Tra il 2013 e 2022 sono nati 767mila bambini in più rispetto al biennio precedente. E tuttavia il deficit di nascite persiste e fa sì che i lavoratori entranti non riescano a compensare il numero di chi si ritira. È una corsa continua ad adattarsi a nuove situazioni.

Gli Stati che devono provvedere alla tutela dei cittadini sentono il peso di un’opinione pubblica incerta ed insicura. Il timore è di perdere quello che fino ad oggi era acquisito. È la pensione che dà riconoscimento al lavoro svolto e garantisce per il futuro. La spesa pensionistica vive però dei contributi versati dai lavoratori attivi. E questi sono di meno per effetto del calo demografico. Il risultato è la riduzione dell’assegno pensionistico, il prolungamento della vita lavorativa e anche un carico maggiore di contributi da versare. Questi ultimi infatti anche con una diminuzione dell’assegno pensionistico comunque non bastano.

Il buco creato dall’aumento degli anziani continua nel tempo per effetto dell’accresciuta aspettativa di vita. Ecco perché il caposaldo della politica sociale sono le pensioni. I governi se ne devono occupare se non vogliono intaccare il fondamento dello stato sociale fiore all’occhiello delle democrazie avanzate. A Berlino ne sono consapevoli e hanno avviato una riforma che introduce elementi nuovi nel paesaggio europeo. I socialdemocratici del governo Scholz sono per la tradizione che vuole la spesa sociale a completo carico delle casse dello Stato. I liberali alleati nel cosiddetto «semaforo», una coalizione composta da Spd, Verdi e Fdp non intendono fare spese a debito e aumentare il debito pubblico. A Berlino regna tuttora la regola del bilancio in attivo o comunque non in rosso. Ne è nata una riforma che si ispira al modello americano dove da sempre sono i fondi privati che erogano i compensi pensionistici. Un’infermiera guadagna circa 5.300 euro lordi e teme di non poter godere a suo tempo di un’adeguata pensione, da qui la necessità di stipulare una polizza di assicurazione che vada ad integrare la pensione che le casse mutualistiche andranno ad erogare.

Il governo federale ha fatto proprio quello che è diventato ormai un fenomeno diffuso e ha introdotto un fondo pensioni che alimenterà in parte la quota finale che il pensionato andrà a percepire. L’obiettivo è garantire per il prossimo decennio il 48% del livello medio delle retribuzioni per anzianità , attualmente intorno a 3.780 euro lordi. Lo Stato tedesco crea con soldi pubblici un fondo che deve garantire una rendita azionaria. Questa andrà ad aggiungersi ai contributi versati da lavoratori e aziende i quali a loro volta passano dal 18,6 % al 22,3 % dello stipendio. Ne risulta che il carico viene distribuito tra i lavoratori, le aziende e lo Stato. I giovani di oggi devono quindi pagare di più di quanto versato dai loro genitori e dai loro nonni. Ed è la vera portata di quella che si chiama ingiustizia generazionale. In Germania hanno preso il toro per le corna.

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