L'Editoriale
Mercoledì 06 Luglio 2022
Instabilità energetica, gli errori da evitare
Siamo nel pieno di una rivoluzione energetica della quale è difficile prevedere con sicurezza l’esito. Dell’attuale fase, però, conosciamo l’elevato grado di difficoltà, causato dal sovrapporsi di problemi che ora dobbiamo tentare di risolvere tutti allo stesso tempo. Già nel 2021 infatti le commodity energetiche – dal petrolio al gas - avevano cominciato a rincarare a causa dello squilibrio manifestatosi nella ripresa post-pandemia: tanta domanda (di beni, servizi, ecc.) a fronte di una offerta insufficiente (di energia e di idrocarburi in particolare).
In aggiunta, la forte accelerazione della transizione green in Europa ha portato al rincaro di altre materie prime; si pensi, per fare un esempio, al prezzo del litio – elemento fondamentale per i motori elettrici – la cui quotazione dall’inizio del 2020 alla scorsa primavera è aumentata addirittura del 1.000%, e non a caso c’è chi parla di «greenflation» o inflazione verde. Come se tutto ciò non bastasse, l’invasione russa dell’Ucraina ha spinto l’Occidente a imbarcarsi in una nuova e doverosa sfida: l’emancipazione dalle forniture energetiche di Mosca, da perseguire per di più durante un conflitto bellico. In breve, l’incertezza regna sovrana.
Vale per noi consumatori, per le cancellerie occidentali e per i mercati. A testimoniarlo, ancora ieri, la nuova impennata delle quotazioni del gas alla Borsa di Amsterdam, con un massimo di giornata pari a 175 euro al Mwh. Un balzo dovuto a un evento solo in apparenza marginale, i cui effetti sono ingigantiti dal contesto ipersensibile descritto finora. Parliamo di uno sciopero dei lavoratori norvegesi del settore petrolifero e del gas, un’iniziativa che da qui a sabato potrebbe costringere la Norvegia a dimezzare le esportazioni di metano. La stessa Oslo che nel frattempo è diventata fonte privilegiata di approvvigionamento da parte dei Paesi europei dopo il progressivo sganciamento dalle forniture russe e i recenti tagli decisi da Gazprom.
Il conto di questa instabilità generalizzata, alla fine, lo pagheremo sempre noi, è una delle poche certezze che abbiamo maturato in queste settimane: la rivoluzione energetica in corso non sarà un pranzo di gala. Se sommassimo tutte le bollette in capo a noi cittadini e alle nostre imprese, a fine 2022 il conto salatissimo arriverebbe alla cifra record di 90 miliardi di euro – ha stimato ieri l’Unione energie per la mobilità (Unem) – quasi il doppio rispetto allo scorso anno o ai picchi del 2011-2012. Un rincaro dovuto in larga parte al forte incremento del costo del gas che peserà per 44,5 miliardi di euro sulle tasche del nostro Paese, mentre la fattura petrolifera si attesterà intorno ai 35 miliardi di euro. Una situazione come questa non può essere sostenibile a lungo, né dal punto di vista economico né da quello sociale. D’altronde il Governo italiano, così come l’Unione europea nel complesso, sembrano aver avviato con fermezza una strategia di diversificazione delle proprie fonti energetiche. Evitare gli errori compiuti in passato sarà doveroso, innanzitutto non affidandosi a fornitori con potere di quasi-monopolio (vale per la Russia ma anche per la Cina e i paesi del Golfo), e poi abbandonando approcci ideologici che già negli scorsi anni ci hanno fatto perdere tempo prezioso nella conquista di un’auspicabile autonomia energetica. In questo senso fa ben sperare un annuncio arrivato ieri secondo cui l’Europa ha avviato ufficialmente la progettazione delle prime centrali commerciali a fusione nucleare da 500 megawatt, con il programma denominato «Demo» (Demonstration Fusion Power Reactor), il successore del reattore sperimentale Iter che sta nascendo in Francia.
L’obiettivo del programma Demo è quello di produrre, intorno alla metà del secolo e in modo sicuro e sostenibile, tra 300 e 500 MW di energia elettrica per soddisfare i consumi annuali di circa 1,5 milioni di famiglie. Un traguardo che potrebbe essere raggiunto tra non prima di 30 anni, intendiamoci, ma che traghetta la ricerca sulla fusione nucleare – spiegano i ricercatori dell’italiana Enea – da un ambito puramente sperimentale alla produzione vera e propria di energia elettrica. Su questo, come su altri fronti, sarà bene non sprecare tempo.
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