Innovazione, natalità ed equilibrio generazionale

ITALIA. Il prossimo anno tra i banchi delle scuole italiane ci saranno 134mila studenti in meno rispetto a oggi e a breve anche le cattedre scenderanno di numero, secondo alcune stime del Governo.

Su 250mila bergamaschi con oltre 65 anni di età, 55mila non sono autosufficienti, ha certificato l’Istat. Sempre nella provincia orobica, lo abbiamo letto su queste colonne, una nota azienda di Telgate specializzata in prodotti per l’infanzia è costretta a ragionare sull’esubero di manodopera, mentre allo stesso tempo i servizi di ristorazione in tutta l’area hanno difficoltà a reperire addetti. Il motivo? Troppi pochi bambini nel primo caso, troppi pochi lavoratori nel secondo. Il malessere demografico italiano, cancellato da un lungo e colpevole silenzio nel dibattito pubblico, da qualche tempo mostra i suoi effetti negativi più severi. Impossibile ormai chiudere gli occhi di fronte a una situazione simile. Sconsigliabile, tuttavia, limitarsi a risposte di tipo emergenziale. La denatalità infatti continua a scavare nel profondo della nostra società, non investe solo la «contabilità» di scuola, welfare e lavoro nell’immediato, ma in prospettiva condiziona la stessa capacità di inventare e di creare ricchezza.

Brevetti e idee in calo

Così non sembra troppo azzardato mettere in relazione i tanti segni «meno» delle culle registrati negli scorsi anni con l’allarmante riduzione delle domande di brevetto giunte nel 2024 allo European Patent office, il primo calo del genere nell’ultimo decennio (se si esclude un contraccolpo post-Covid). Sono state 4.853 le richieste di brevetto arrivate dal nostro Paese nel 2024, in discesa del 4,5% rispetto all’anno precedente, meno della metà delle richieste francesi e addirittura meno di un quinto di quelle tedesche. A frenare sono soprattutto settori chiave come le macchine utensili, il biomedicale e la farmaceutica. Proprio l’innovazione, d’altronde, è uno dei principali canali di «contagio» tra declino demografico e andamento della produttività dell’economia. In un recente studio pubblicato dai ricercatori del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), si analizza l’impatto di lungo termine di uno «shock demografico avverso» che è misurato attraverso l’indice di dipendenza, cioè il rapporto tra popolazione non in età da lavoro (bambini e anziani) e popolazione in età da lavoro (15-64 anni).

La fascia dei 40-49enni

Un incremento dell’1% dell’indice di dipendenza comporta una riduzione quasi dell’1% di Pil e investimenti, e di circa il 10% del numero dei brevetti. Ecco uno dei tanti motivi per cui l’Italia, come afferma anche lo storico dell’Università Luiss Giovanni Orsina, «ha un problema di vitalità». Un eccessivo squilibrio demografico dettato dal tandem invecchiamento-denatalità, conferma un numero crescente di economisti, può minare la crescita della produttività che - in fin dei conti - si fonda sull’esistenza di persone che generano nuove idee. In Italia, da tempo, si riduce il numero di residenti in età lavorativa. In base ai dati delle Nazioni Unite, le persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni hanno raggiunto il picco di 39,5 milioni nel 1992, per poi calare di circa due milioni nei successivi trenta anni fino a 37,4 milioni nel 2025. Un economista e pioniere del settore come lo statunitense James Feyrer consiglia di concentrarsi su una quota di popolazione ancora più specifica, quella di età compresa tra i 40 e i 49 anni. Sarebbero loro, statisticamente, a essere associati ai maggiori incrementi di produttività dal 1980 a oggi.

Mobilità sui posti di lavoro

Ebbene anche i 40-49enni in Italia sono sempre meno: nel 2014 erano 9,8 milioni, dieci anni dopo sono diventati 8,1 milioni. Si va restringendo, in altri termini, quel «bacino» di nostri concittadini da cui tradizionalmente emergono le persone più disponibili ad assumersi rischi (imprenditoriali), a innovare o anche semplicemente ad abbracciare le nuove tecnologie. Mentre cresce il «bacino» di lavoratori che, mediamente, hanno sì più esperienza ma anche scarso desiderio di cambiare posto di lavoro o addirittura mestiere se necessario, o minori possibilità di adeguarsi ai salti tecnologici. Muta allo stesso tempo il peso politico delle diverse coorti anagrafiche, con un rafforzamento numerico degli elettori in genere interessati a programmi di spesa destinati a sanità o previdenza piuttosto che a ricerca o istruzione universitaria.

Il problema è che anche le grandi possibilità di arricchimento legate alla cosiddetta «silver-economy», l’insieme di attività economiche rivolte agli over 65, saranno alla nostra portata solo se l’economia rimarrà produttiva e in grado di innovare. Tra invecchiamento da sostenere e natalità da rilanciare, come in altre fasi storiche l’Italia dovrà dunque dimostrare notevoli capacità di adattamento e impegnarsi con decisione per conciliare interessi e prospettive di tutte le generazioni.

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