Infermieri, solo il Covid
ha dato loro la dignità

Non sempre abbiamo voluto a loro così bene. Non sempre abbiamo riconosciuto la loro professionalità clinica e una giusta paga. D’ altra parte la Giornata internazionale dell’ Infermiere c’ è solo da vent’ anni, il 12 maggio, insomma da troppo poco tempo. Alzi la mano chi lo sapeva e chi invece lo ha scoperto al tempo della pandemia. Eppure gli infermieri in tutto il mondo sono la spina dorsale di ogni sistema sanitario. Nei Paesi più poveri dove i medici sono pochissimi gli infermieri sono i soli che si occupano della salute delle

comunità e sfiorano nelle loro azioni la professione medica. Con la pandemia ci siamo accorti degli infermieri e allora vai di retorica con aggettivi mirabolanti e lo spreco del termine eroi. Il rischio è che alla fine tornino nel cono d’ ombra della sanità in attesa della prossima crisi. Nel mondo ci sono 28 milioni di infermieri e non bastano. In un giusto equilibrio negli ospedali e sul territorio ne mancano all’ appello almeno 6 milioni, secondo i dati dell’ Oms. In Italia ne contiamo 450 mila, otto su dieci sono donne. In questi mesi di pandemia oltre 12 mila sono stati contagiati e 38 sono morti. Ieri mattina Papa Francesco ha pregato per loro. Ha detto che la loro è più di una «professione», è «vocazione», è una «dedizione».

Negli anni tuttavia si è fatta un po’ di confusione. Da una parte stava il medico riverito e strapagato. Dall’ altra, più in basso, molto più in basso stava l’ infermiere, anzi l’ infermiera, ancella silenziosa, donna di fatica sanitaria, nessuna ambizione clinica, solo «obbedir tacendo». L’ assistenza valeva meno della cura anche per i contratti di lavoro. Sono molti quelli che hanno approfittato della storia e della considerazione ancestralmente negativa di un lavoro di cura affidato alle donne. L’ assistenza infermieristica è stata generalmente assicurata dalle suore. Fino all’ inizio del 1900 tutto si svolgeva precariamente, pochi studi e buona volontà, negli ospedali e sul territorio, nonostante le norme ecclesiastiche imponessero alla religiose di non assistere nessuno a domicilio men che meno i malati di sesso maschile. Ma le suore non si fecero intimorire neppure da un’ indagine della Congregazione dei religiosi. E chiesero e ottennero da Pio X nel 1905 di aprire la prima scuola di formazione professionale per un mestiere stimato all’ epoca al pari di quello di una serva.

La giornata internazionale è intitolata a Florence Nightingale, inglese di famiglia ricca nata in Italia, che decise di dedicarsi ai poveri ammalati e che deve la sua fortuna all’ ottimo lavoro degli agiografi britannici.

Fu senza dubbio una figura importante nella diffusione di buone pratiche infermieristiche, ma vocazione e dedizione al servizio della professione almeno in Italia si registravano già da decenni. È l’ assistenza caritatevole delle religiose che si tramuta via via nella consapevolezza dei bisogni di salute.

Tuttavia da allora le cose non sono migliorate. Forse perché gli infermieri sono quasi tutte donne. La laurea è prevista solo dal 1992, le difficoltà nel rapporto con i medici sono quotidiane e dettate a volte da poca autostima della propria professione da parte degli infermieri. Quasi che non sia una professione nobile al pari di medici o avvocati o architetti. Se si cerca «infermieri» su un qualsiasi motore di ricerca ai primi posti compare «infermieri inc..ti». È un mestiere faticoso, anche fisicamente, poco retribuito e diventato troppo trasparente almeno fino al coronavirus. La pandemia ha portato ad un nuovo riconoscimento della professione infermieristica e dimostrato che c’ è bisogno di infermieri aggiornati, competenti e anche un po’ più orgogliosi della loro autonomia.

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