Indipendenza energetica, traguardo per l’Europa

MONDO. Quando, nel febbraio 2022 i carri armati russi hanno varcato i confini dell’Ucraina, l’Europa si è resa conto di una sua pericolosa condizione di dipendenza.

Si era fatto in passato così tanto affidamento sulla Russia per le forniture di gas, petrolio e carbone, a prezzi contenuti, da mettere a repentaglio la sicurezza energetica. Prima di questa tragica e inaspettata decisione di Putin, l’Europa importava dalla Russia circa il 45% del gas, quasi la metà del petrolio e quasi un terzo del carbone. Così, mentre l’Ucraina si dimostrava coraggiosa e granitica nel resistere all’attacco di Mosca l’Europa, dando prova di unità e determinazione, nel maggio 2022 ha fissato l’obiettivo di ridurre drasticamente la propria dipendenza energetica dalla Russia attraverso il piano d’azione «Repower» della Commissione europea.

Il piano si è proposto di rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, muovendosi sostanzialmente in due direzioni. La prima mirava a diversificare l’approvvigionamento energetico, trovando alternative alle importazioni dalla Russia. La seconda si proponeva di risparmiare energia e accelerare la transizione dell’Europa verso l’energia pulita, con l’obbiettivo di utilizzare nel 2030 il 42,5% di energie rinnovabili. A distanza di due anni dalla redazione del piano è possibile fare un bilancio molto positivo sui risultati raggiunti. Sono state sensibilmente ridotte le importazioni di gas, petrolio e carbone russi e si è realizzato un aumento senza precedenti del ricorso a energie rinnovabili. Le importazioni di petrolio dalla Russia sono diminuite del 28% entro il quarto trimestre del 2003. Le importazioni di gas sono scese da 30 miliardi di metri cubi nel 2019 a 2,9 miliardi nel 2003. Inoltre, il divieto d’importazione di carbone ha colpito un quarto di tutte le esportazioni russe a livello mondiale e ha comportato per la Russia una perdita annua di entrate pari a 8 miliardi di euro. Per altro verso le fonti di energia rinnovabili (energia eolica, solare, idroelettrica, geotermica, biocarburanti e le parti rinnovabili dei rifiuti) sono cresciute a un ritmo elevatissimo.

La relazione di un gruppo di esperti - incaricati dalla Commissione europea di svolgere un’approfondita analisi riguardo all’utilizzo, in particolare, di pale eoliche e pannelli fotovoltaici - ha evidenziato come a maggio 2023 queste fonti pulite hanno prodotto il 31% dell’energia elettrica nell’Unione europea, superando per la prima volta quella generata da combustibili fossili ferma al 27%. I pannelli fotovoltaici hanno prodotto il 14%, mentre le pale eoliche il 17%. Dalla relazione sono emerse anche marcate differenze tra i Paesi europei in merito all’utilizzo di energie rinnovabili. Ai primi posti risultano la Svezia con il 70% proveniente da eolico, idroelettrico, biocarburanti e fonti di calore e la Finlandia con il 47,3% proveniente da idroelettrico, eolico e biocarburanti. Molto positivi per l’Italia sono i dati che emergono dal «Rapporto sull’efficienza energetica» redatto per il 2023 dall’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). Al primo posto per la produzione di energia elettrica green risulta l’idroelettrico con il 42%. Il secondo gradino del podio è occupato dal fotovoltaico con una quota del 20% e il terzo dall’eolico con il 10%, con un trend di crescita molto sostenuto. Il rapporto raccomanda che lo sviluppo di queste fonti di energia debba, in ogni caso, essere realizzato avendo grande attenzione alla tutela dell’ambiente, preservando da un lato le esigenze paesaggistiche e, dall’altro, salvaguardando le produzioni agricole.

Tenuto conto dei risultati conseguiti va riconosciuto che l’Ue, con il piano d’azione «RepowerEu», ha avuto un ruolo determinante nel dare a tutti i Paesi membri una spinta decisiva per diversificare l’approvvigionamento energetico e accelerare la transizione verso l’energia pulita. Tale scelta strategica, infatti, ha di molto limitato la dipendenza dai combustibili fossili provenienti dalla Russia - che ha registrato le prime perdite di Gazprom dal 1999 - e, allo stesso tempo, ha fatto sì che l’Europa facesse grandi passi verso la stabilizzazione del mercato dell’energia.

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