L'Editoriale
Lunedì 26 Ottobre 2020
In questa prova
non serve disfattismo
Diciamo no al disfattismo. Chi ci governa ha le sue colpe ma al punto in cui siamo il nostro primo nemico è il pessimismo. La pandemia si espande a ritmi che forse si potevano evitare o comunque ridurre. Ma questa estate ben pochi erano saggi. Si è scatenata un «toppa liberi tutti» che aveva molto di infantile e si poteva anche capire dopo mesi di chiusure e di angosce. Ci sarebbe voluto un Churchill per ammonire e indurre non alla rinuncia ma alla ragione. Non moriva la gioventù vacanziera e nemmeno i parvenu alla Briatore se si fosse avuto il coraggio di dire: niente assembramenti di massa. Ma un capo che dice attenzione ci aspettano «Blood, swear and tears» (sangue, sudore e lacrime) in Europa non c’è. Basta guardare i numeri dei contagi in Francia per capire che la grandeur agognata dai vicini si sta realizzando sì ma nell’incapacità di contenere il virus.
Il Belgio che ospita la capitale dell’Ue ed è sede della Commissione Europea ha il più alto indice di contagi in rapporto alla popolazione. La pandemia mette a nudo i punti deboli dei singoli Stati: la leggerezza e prosopopea dei francesi, la divisione politica dei belgi divisi fra Valloni e Fiamminghi sino ad arrivare al prode Boris Johnson, che anziché indicare ai suoi connazionali le insidie del nemico avanzante, lo banalizza e rivendica l’immunità di gruppo. Colui che sedette sulla sua sedia di primo ministro negli anni Quaranta gli avrebbe insegnato che in una battaglia il primo errore è sottovalutare l’avversario. Questo per dire che anche un grande popolo come il britannico non si sottrae al male del secolo, che non è, si badi il Covid-19, ma la superficialità, la disabitudine alla lotta e al sacrificio e quindi la tentazione a bagatellizzare tutto.
Il virus, è vero, può colpire tutti, ma la stragrande maggioranza o è asintomatica o ha disturbi lievi e comunque superabili. Ha un indice di mortalità che si esprime nella diffusione massiccia. Se il tracciamento è inadeguato non si riesce a controllare lo sviluppo, aumentano i casi e quindi proporzionalmente anche i morti. L’Italia (e la Bergamasca) l’ha sperimentato sulla propria pelle e gli altri Paesi avrebbero dovuto imparare le lezioni.
Adesso è troppo tardi e lo è per tutta Europa. In Svizzera si viaggia sui 1.000 contagi ogni 100 mila abitanti. In Italia per ora siamo a metà. Poi c’è la Germania che ha superato la soglia dei 10 mila casi al giorno ma ha un indice di trasmissione che viaggia verso cento casi su 100 mila abitanti. Chi ha un sistema sanitario diffuso sul territorio, chi dispone di 28 mila posti letto in terapia intensiva come la Germania ha un vantaggio strutturale. Chi può come in Germania mobilitare i medici di famiglia per fare tamponi conseguentemente registra meno casi. L’Italia si è sforzata di aumentare le terapie intensive ma in sei mesi non si fanno miracoli con la formazione del personale medico e infermieristico specializzato.
Angela Merkel esorta a non muoversi e a ridurre i contatti sociali. Non è un ordine perché la strategia di Berlino è una sola: salvare l’economia e farlo con il minor numero di morti possibili.
Ma per il resto le beghe sono le stesse, i Länder vanno per conto loro e rimproverano il governo centrale di essere autoritario. In Svizzera i Cantoni sono sul piede di guerra e accusano Berna di approfittare della pandemia per imporre una sorta di «Covid-19 Diktatur». A Roma è lo stesso teatrino. L’emergenza costa e nessuno vuole farsene carico. In questo l’Europa è unita.
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