In Iran e in Russia il dissenso dei giovani

Gli iraniani e i russi scendono in piazza contro i rispettivi Governi. In modo più massiccio e pericoloso in Iran, dove le proteste durano da giorni e dove, secondo Iran Human Rights (che ha sede a Oslo, in Norvegia), sono già stati uccisi 31 civili. Meno duramente ma non meno clamorosamente in Russia, dove sono state fermate o arrestate circa 1.300 persone in 38 diverse città.

In apparenza, tra i fatti iraniani e quelli russi non c’è alcuna corrispondenza. A Teheran danno l’esempio le ragazze, che si tagliano i capelli e bruciano gli hijab in strada per lo sdegno generato dalla morte di Mahsa Amini, una ragazza di 22 anni fermata dalla polizia morale perché non portava in modo corretto il velo islamico, e poi massacrata di botte. A Mosca la polizia interviene contro coloro che contestano la mobilitazione parziale dei riservisti, decretata da Vladimir Putin per cercare di ovviare ai recenti rovesci sul fronte ucraino, e prima ancora la guerra stessa.

A guardar meglio, però, le analogie si trovano e non sono nemmeno piccole. La prima e più evidente è che la protesta, sia in Iran sia in Russia, è guidata dai giovani. Sono loro a prendere la via della piazza per esprimere, anche con l’impeto fisico, la stanchezza per un regime e per un modo di vivere. A dispetto del crollo della natalità degli ultimi anni (il tasso di crescita demografica è allo 0,6%, il più basso della regione), l’Iran è un Paese di 84 milioni di abitanti con un’età media di 31 anni. L’età media in Italia, per fare un confronto, è di 46,2 anni. Almeno per ora, è ancora un tipico esempio di quello che i demografi chiamano youth glut, ovvero surplus di giovani, un problema che riguarda l’intero Medio Oriente. Giovani da istruire, da sistemare al lavoro, da inserire nel tessuto sociale. Giovani che hanno studiato, hanno imparato le lingue, viaggiano e, quando non possono viaggiare, saltano i muri usando la Rete (non a caso la Russia ha bloccato i social network occidentali e l’Iran ha tagliato in questi giorni i collegamenti Internet) e viaggiando così in altro modo. In mancanza di risposte adeguate, e più al passo con il ritmo dei tempi, i giovani guidano la protesta. In Iran a cominciare dal 2009 con l’Onda Verde, il movimento contro l’elezione alla presidenza di Mahmoud Ahmadinejad. Anche in Russia, dove pure l’età media è di 40 anni, tutte le grandi manifestazioni degli ultimi anni (a cominciare da quelle del 2011, dopo le elezioni parlamentari, le maggiori in assoluto) hanno visto in prima fila i giovani. E lo youth glut è stato anche tra le principali cause delle cosiddette Primavere arabe, anch’esse partite (sarà solo un caso?) nel 2011.

Un secondo elemento che accomuna Iran e Russia, almeno nelle odierne circostanze, è il fatto che l’epicentro di queste rivolte pacifiche è sempre situato nelle grandi città. Teheran da un lato, Mosca e San Pietroburgo dall’altro. Sono i luoghi dove si sviluppa, prima e meglio, una classe borghese media e alta (la stessa rivoluzione iraniana del 1979, tesa ad abbattere lo Shah, era stata finanziata e appoggiata dai bazarì, i mercanti del bazar; e nel 2011 fu il Cairo il cuore del mutamento in Egitto), più istruita e aperta alle realtà esterne di quanto siano i figli delle campagne iraniane o quelli della sterminata provincia russa, che non a caso sono i più inclini ad arruolarsi nelle Guardie della Rivoluzione o a offrirsi volontari per il servizio militare nell’esercito russo, come le notizie di questi ultimi tempi dimostrano.

Giovani contro vecchi, centri urbani contro province. Sono dinamiche tipiche del mondo d’oggi, con cui tutti i Paesi devono prima o poi fare i conti: pensiamo solo alla Francia dei gilet gialli, o alla Turchia dove le metropoli Istanbul e Ankara hanno eletto sindaci di opposizione. La Russia è chiusa su se stessa e la postura nazionalistica e patriottica sembra ancora forte. Resta da vedere, invece, se i moti iraniani innescheranno qualcosa di simile alle Primavere del 2011. Allora bastò la morte dell’ambulante Muhammed Bouazizi per lanciare un movimento epocale. Oggi, chissà. La fine terribile di Mahsa Amini è un monito severo per tutti, non solo per gli iraniani: il cambiamento non avviene da solo, va cercato e conquistato.

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