L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 09 Giugno 2021
In Afghanistan la risposta agli attacchi terroristici ci è costata 54 vittime
Vent’anni, 54 morti (tra i quali una cooperante) e circa 8 miliardi di spese dopo, l’Italia lascia l’Afghanistan, teatro della sua più lunga e costosa campagna militare. L’avanguardia di 11 soldati arrivò a Bagram il 30 dicembre 2001. Poi a Kabul arrivarono i carabinieri del Tuscania e i soldati del Cavalleggeri Guide. Il 3 ottobre 2002 la Camera decise di inviare in Afghanistan mille alpini, avvisaglia di un impegno che avrebbe toccato l’apice di 2.250 uomini, con mezzi di terra e aviazione. Nel 2003, infine, dopo che il Consiglio di Sicurezza Onu decise di estendere il mandato della forza internazionale su tutto il territorio afghano, la base principale delle operazioni italiane fu spostata a Herat, in una zona calda nella parte occidentale del Paese. Questa, in estrema sintesi, la scheda tecnica di una missione durata due decenni. Andrebbe aggiunta una cosa che c’entra poco con le cifre ma molto con la sostanza delle cose: l’opera dei nostri militari ha raccolto sul campo universale apprezzamento. Per il coraggio, la professionalità e la sensibilità rispetto alle diverse situazioni che tutti, dal generale al caporale, hanno saputo mostrare. Chi è stato laggiù e ha seguito i nostri soldati lo sa e ha avuto modo di toccare con mano la stima che li ha sempre circondati.
Dunque l’Italia si è ben comportata. Ma per un vero e definitivo bilancio non basta avvolgere la missione nel tricolore. Non si può prescindere dal contesto internazionale, dalla situazione che la produsse e da quella che l’ha vista terminare poche ore fa. Nel 2001 la campagna afghana fu lanciata come risposta agli attentati delle Torri Gemelle, realizzati dagli uomini di Al Qaeda e di Osama bin Laden che nell’Afghanistan dei talebani avevano il loro santuario. Fu una vittoria rapida sul campo, ottenuta però prima ancora di muovere le truppe. Il sottoscritto seguì l’avanzata verso Kabul ed era chiaro che le tribù avevano voltato le spalle (o erano state convinte a farlo) al regime islamista, abbandonato al suo destino.
Ora la campagna (quella italiana, ma gli altri ci seguiranno tra poco) finisce con un sostanziale nulla di fatto. Già ora gli eredi dei talebani controllano una parte importante del Paese: quando il contingente internazionale sarà del tutto scomparso, lo controlleranno per intero, usando le armi o sfruttando le elezioni. Nel frattempo, per arrivare a un ritiro non incalzato da sparatorie e attentati, gli Stati Uniti hanno dovuto riconoscer loro un rango ufficiale, intavolando con loro vere trattative diplomatiche a dispetto del Governo legittimo del Paese. In altre parole, com’è successo altre volte negli ultimi decenni, l’Occidente ha vinto la guerra ma non ha vinto la pace.
È stato quindi tutto inutile? A differenza di altri casi, l’invasione dell’Afghanistan aveva un senso. Perché era assolutamente vero che lì si annidavano terroristi che in un solo giorno, l’11 settembre 2001, avevano massacrato quasi 3 mila persone. Negli Usa, ma persone originarie di 90 Paesi diversi. E che il regime afghano di allora appoggiava e copriva quelle stragi. In Iraq, per fare un esempio, era invece assolutamente falso tutto ciò che veniva raccontato per invadere il Paese. Una differenza non da poco.
Però, appunto, quel che più conta è far vincere la pace. E l’idea di occupare un Paese, cambiarne il governo, portarlo su una strada diversa e modificarne il destino esce con le ossa rotte dall’esperienza afghana. Questa è forse la lezione più importante tra quelle che riportiamo a casa. Sia reso il dovuto onore ai soldati che sono caduti per farcela imprimere nella testa e nella coscienza.
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