Imprese, la ripresa tra export e Pnrr

ITALIA. I risultati 2024 dell’economia italiana saranno ufficializzati a breve, e magari - sfruttando il fatto che vi sono stati quattro giorni lavorativi in più - si starà sopra quello 0,5% provvisorio, che manderebbe subito all’aria gli impegni settennali appena presi nel Piano di stabilità europeo.

Magari saliamo allo 0,7%, ma il traguardo, un anno fa, era sopra l’1%, e non è una consolazione sapere che gli altri europei stanno peggio (non la Spagna, per una politica energetica più accorta delle altre), perché il -0,2% tedesco fa parte dei nostri problemi. Sta di fatto che tutto il secondo semestre 2024 è a crescita zero e che l’industria ormai ha raggiunto i 23 mesi di stasi. Trump fa lo smargiasso, ma almeno entra in scena con il +2,3% lasciatogli da Biden mentre Meloni&Giorgetti partono in riserva, e il 2025 si preannuncia foriero di un altro zero virgola, ben sotto il +1,2% segnato in tabella.

Il nodo occupazione

Il Governo, che ha il merito di tenere sotto controllo la spesa pubblica, nonostante certe pulsioni interne, si aggrappa ai buoni dati sull’occupazione e in effetti va spiegato come mai quest’ultima tiene in un quadro economico in calo. Non c’è dietro una ragione contingente politica, come da propaganda. Ovvero, semmai, c’è l’effetto positivo delle leggi sul lavoro che negli anni pre Meloni hanno disintossicato un mercato ansiogeno, e dato più orizzonte alle imprese, insieme ai buoni incentivi del 4.0, salvati a stento dalla superbia della gestione ministeriale di Luigi Di Maio. Ma incombe un referendum molto politico, la cui essenza può riassumersi in un quesito: è accettabile un buon risultato nell’occupazione, se questo contraddice i luoghi comuni della proclamazione sindacale?

. A prima vista sembra soprattutto una scelta delle imprese, che scommettono sulla fine di questa stagnazione, bloccano il turnover e soprattutto - azzardiamo - puntano su nuove assunzioni di qualità, legate alle nuove sfide digitali e all’AI

È davvero meglio affidare alla sorte referendaria qualcosa che ha comunque aumentato i posti di lavoro, e li ha resi più stabili facendo crescere i contratti a tempo indeterminato? In un anno, ce ne sono stati 687mila in più, contro i meno 402mila a tempo determinato. Non era questo lo storico punto debole dell’occupazione? Andando più a fondo, resta da capire se un merito della crescita del lavoro c’è e, se c’è, a chi attribuirlo. A prima vista sembra soprattutto una scelta delle imprese, che scommettono sulla fine di questa stagnazione, bloccano il turnover e soprattutto - azzardiamo - puntano su nuove assunzioni di qualità, legate alle nuove sfide digitali e all’AI. In numeri relativi, i giovani occupati calano (-3,6% sotto i 34 anni), ma un po’ è perché la crisi demografica restringe il campo, un po’ perché i candidati buoni mancano e li si cerca talora disperatamente, un po’ perché le politiche dell’immigrazione bloccano tutto indiscriminatamente.

L’attuazione del Pnrr

Quando la ripresa ripartirà, si vedrà se c’è stata lungimiranza, dietro questa tenuta, ma in tal auspicabile caso, occorrerà finalmente mettere mano ad una politica salariale degna, per non farsi scappare i migliori. Intanto, si prenda atto che l’industria - devastata nel suo core storico, l’automotive - fa la sua parte, pur con soli 6,5 milioni di occupati contro i 16,7 del terziario (che non ha la stessa qualità, ma tiene a galla tutto il resto).

E allora è la politica che deve fare la sua parte, senza piagnistei sulle spese per la difesa (qui ha ragione Trump) e sui dazi, ma cogliendo l’occasione per rispondere all’attacco evitando furberie e gomitate ai partner europei. C’è insomma da applicare la Piattaforma Draghi, non la scorciatoia delle visite a Mar-a-Lago, c’è da spiegare all’opinione pubblica Usa che i prodotti europei (per l’Italia la moda, i macchinari, la farmaceutica, l’agroalimentare) sono il vero legame atlantico da valorizzare. Per noi italiani, banco di prova decisivo di serietà, l’attuazione del Pnrr. I dati sono stati finalmente aggiornati, e la spesa effettiva è leggermente aumentata ma ancora troppo bassa: 30,14%, poco più di 50 miliardi spesi su 194. Numeri che ci sembrano spietati e sui quali si tace. Senza Europa, quanto in basso saremmo caduti?

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