Il virus, i vaccini e la battaglia da vincere - L'Editoriale

Il virus, i vaccini
e la battaglia
da vincere

Sessantatré italiani su cento, dice l’ultimissimo sondaggio condotto da Quorum/Youtrend per SkyTg24, dicono sì al vaccino per sconfiggere il Covid. La notizia sarebbe questa, se non fosse che, forse, la notizia sta sull’altra faccia della medaglia: 4 italiani su 10, al momento, direbbero no al vaccino. O «ni», nel senso che la percentuale dei contrari va spaccata tra i certamente contrari, il 15,9%, e quelli che di fronte alla via d’uscita del tunnel del Covid «dovrebbero pensarci», il 19,2%. Fa abbastanza spavento, questa percentuale tra indecisi e contrari. Per tante ragioni.

La prima è l’egoismo di fondo che guida la scelta di non vaccinarsi. Egoismo che antepone la propria visione, e il rispetto cieco di un giudizio (o forse più un pregiudizio stile no-vax, o contro le case farmaceutiche), alle conseguenze sociali della propria decisione. Perché un non vaccinato resterà uno dei «veicoli» del virus, e quindi un potenziale pericolo per tutti i soggetti che scelta non avranno, e al vaccino non potranno accedere. I minori di 16 anni, chi è affetto da particolari malattie, le donne in gravidanza, solo per fare alcuni esempi: loro non potranno scegliere, e vaccinarsi è un dovere prima per loro che per sé.

La seconda è per le conseguenze che una reiterata circolazione del virus - ancorché frenata dalle vaccinazioni - potrebbe avere sulla ripartenza dell’economia, e del lavoro. Guardatevi attorno. Ristoranti chiusi, che resistono a colpi di asporto e app. Cinema e teatri, chiusi ormai da mesi. Negozi che aprono a intermittenza. Sistemi di trasporto che viaggiano, quando viaggiano, più vuoti che pieni. Compagnie aeree che stanno smantellando aerei anche seminuovi: costa meno «buttarli via» che tenerli fermi e farli volare vuoti per non perdere le certificazioni. Ma quando tutto ripartirà, per rimanere sull’esempio del trasporto aereo, che poi significa turismo, alberghi che si riempiono, ristoranti che lavorano a pieno regime, seconde case affittate, agenzie che fatturano... quando tutto ripartirà il trasporto aereo avrà bisogno di passeggeri vaccinati, per garantire sicurezza, per far sentire tranquilli i passeggeri che ricominceranno a prenotare. Idem per ogni luogo pubblico.

La vita non potrà continuare in eterno «a distanza di sicurezza». Non potremo, ogni volta che incrociamo qualcuno, attraversare la strada come accade adesso quando ci si avvicina qualcuno senza mascherina. Abbiamo tutti bisogno di recuperare «vicinanza», e di lasciare la distanza nell’angolo dei ricordi di questo periodo maledetto, e di smettere di considerare il prossimo come un possibile nemico, perché magari ci contagia.

Perciò andrà combattuta fino in fondo questa battaglia di civiltà, di cultura, di responsabilità degli uni verso gli altri, di una generosità capace di andare oltre le proprie convinzioni. Vaccinarsi non sarà una pericolosa concessione ai tentacoli delle multinazionali che guardano solo al «business». Vaccinarsi sarà il primo passo del primo giorno post-Covid. Più saranno gli italiani che si vaccineranno, prima i nostri bambini potranno tornare a scuola togliendosi le mascherine, guardando in faccia i maestri. Ridendo, e godendo della bellezza di una risata altrui. Più saranno i vaccinati, prima potremo tornare a vivere le amicizie, le famiglie, a viaggiare, alla vita di prima.

Di certo a Bergamo la percentuale dei «favorevoli» sarà più alta di questo 63%, perché qui la cicatrice della tragedia è più profonda che ovunque, e se la seconda ondata ha colpito meno è anche perché l’abbiamo saputa respingere a colpi di mascherine e tanta, tanta disciplina. Noi abbiamo capito. La speranza è che a dire no al vaccino non siano le popolazioni meno colpite dal Covid. Hanno sofferto di meno, dovrebbero essere le prime a garantirsi la certezza di non soffrire più.

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