Il vertice della Nato, un test per Meloni

ITALIA. Per Giorgia Meloni il vertice Nato in corso a Washington subito dopo le elezioni francesi e a un passo dal voto al Parlamento europeo sulla nuova Commissione europea, è un test assai significativo e non facile da superare.

Perché lei a questo punto è ad un bivio e dovrà fare appello a tutte le sue capacità diplomatiche e manovriere per uscirne bene, il che vuol dire: non isolata. Ai partner della Nato e agli americani Meloni ribadirà la sua linea di politica estera che l’ha schierata decisamente dalla parte di chi ha intenzione di difendere fino in fondo e con le armi l’Ucraina dall’aggressione russa: in questo lei, che proviene da un’area politica messa sotto giudizio dagli alleati, ha dato prova di affidabilità e di coerenza sin dalla nascita del governo. Dalle prime parole pronunciate arrivate nella notte sul suolo americano, non c’è motivo di dubitare di un arretramento da questa linea che l’ha vista solidarizzare anche umanamente con il presidente Biden. Ma ecco il primo problema: il crescente pessimismo sulla ricandidatura del presidente degli Stati Uniti e il timore di una nuova vittoria dell’imprevedibile Trump la potrebbe costringere a breve ad una imbarazzante e spericolata manovra di riallineamento. Trump di nuovo alla Casa Bianca non sosterrebbe Kiev come è stato fatto finora né prenderebbe le distanze da Putin: difficile per un governo europeo, italiano in particolare, mantenersi autonomi da una simile sterzata.

A New York Meloni inoltre incontra un Macron rincuorato che è riuscito a fermare l’onda nera della Le Pen e che, insieme a Scholz, ha puntato i piedi contro ogni possibile coinvolgimento della «destra italiana» nella gestione dei vertici europei della nuova legislatura. Macron è stato sconfitto alle Europee ma alle Politiche di domenica ha dimostrato che l’azzardo di nuove elezioni lo ha mantenuto in pista, ancora capace di dare le carte. Dunque Meloni che farà quando il 18 luglio in Parlamento europeo si voterà sulla soluzione von der Leyen, frutto dell’intesa franco-tedesca-ispanico-polacca cioè tra Ppe, Pse e Liberali? Se la Le Pen avesse trionfato oggi quell’intesa sarebbe già per aria, ma così stando le cose, l’accordo resta valido. E allora: votare contro? Significherebbe isolarsi dal circolo che ancora conta a Bruxelles e perdere ogni speranza di ottenere la vicepresidenza esecutiva cui l’Italia aspira. Votare a favore? Comporterebbe esporsi alle critiche dei sovranisti europei (I «Patrioti»: Le Pen, Orban, Vox, Salvini, forse i polacchi del Pis che si sono messi d’accordo proprio per togliere a lei e al suo gruppo dei Conservatori il terzo posto nella classifica del partiti presenti nel Parlamento europeo) che considerano un tradimento qualunque intesa per riproporre Ursula von der Leyen. Essere sotto tiro da parte dei Patrioti vuol dire perdere definitivamente l’ambizione di federare la destra europea e, in Italia, dare un vantaggio a Salvini che cerca in ogni modo di togliere spazio a Fratelli d’Italia. Tant’è che il capo leghista è arrivato a dire che se Meloni voterà a favore di una nuova presidenza von der Leyen potrebbe addirittura «segnare la sua fine». Parole pesanti che danno bene il senso di una sfida tra i due che continuerà per tutta la legislatura e che renderà sempre più problematico il cammino del governo.

Ecco dunque le sfide che Giorgia si trova di fronte in questa riunione della Nato in cui le linee di politica estera e di schieramento dell’Italia nel contesto geopolitico influiscono pesantemente sugli equilibri politici interni, sulla tenuta della maggioranza, sulla stabilità del governo.

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