Il trionfo a Tokyo
un punto di partenza

Sì, siamo più forti, più veloci, più resistenti, più fieri, più felici. Più medagliati che mai, 40 podi che hanno trasmutato le gocce di pioggia della cerimonia di chiusura in lacrime di felicità, perché mai come questa volta le Olimpiadi sono stati i Giochi d’Italia nella memorabile estate sportiva 2021. Il più grande spettacolo di sempre, l’ha già definito esultante il presidente del Coni Malagò che alla vigilia aveva invocato un oro in più degli 8 di Rio 2016 e la sua sembrava una sbruffonata auto-promozionale. Invece succede che tra gli innumerevoli record azzurri scritti nei cinque cerchi del Giappone quel numero 10, le medaglie d’oro, e quel numero 5, le medaglie d’oro conquistate dall’atletica, brillano più di tutte e danno il senso e la direzione delle Olimpiadi-boom dello sport italiano.

Quaranta medaglie in 19 discipline, una medaglia al giorno, dicono che l’Italia è stata protagonista eclettica e trasversale, continuativamente sul pezzo. Ma i 5 titoli olimpici dell’atletica su 10 sembrano dire in più che l’Italia dello sport sta correndo, finalmente, coraggiosamente verso il futuro.

Alla faccia dei vecchi tabù, delle antiche ritrosie, delle ataviche convinzioni da antropologia da bar. «L’Italia è un paese di santi, navigatori, commissari tecnici», non certo di velocisti. Berruti? Sì, preistoria. Mennea? Idem. Invece gli occhi stralunati del milanese Filippo Tortu che taglia il traguardo della 4x100 mettendosi le mani nei capelli, lo sguardo furtivo dell’italo-texano Marcell Jacobs al tabellone dei 100, come a voler interrogare il tempo ancor più dello spazio, sono le immagini iconiche di una rivoluzione sportiva che promette di andare oltre la statistica dei sorrisi, il computo delle gioie.

Raccontano che anche in Italia, paese di santi, navigatori, ct, campanili, cortili, steccati e barriere, si può correre veloci, più liberi, più integrati, più moderni, se si hanno talento, idee, coraggio, un po’ di sana follia, come quella mostrata da Paltrinieri alla faccia della mononucleosi, come quella dei marciatori, come quella delle farfalle della ritmica, dei lottatori, di Irma Testa la regina dei guantoni. È come se nell’estate dell’Italia di Mancini che vince gli Europei osando e di un italiano, Berrettini, che va in finale a Wimbledon sorprendendo si siano rotti gli argini delle vecchie paure e una scossa elettrica positiva si sia propagata da un capo all’altro, contagiando Tamberi e Jacobs, Stano e Palmisano, il canottaggio e le farfalle, il taekwondo e Vanessa Ferrari e l’inseguimento su pista con il nostro Consonni. E forse anche l’altra faccia della medaglia, quello del flop a squadre, conferma paradossalmente che la via del coraggio silenzioso, della rinascita sofferta è quella giusta. Come insegna la storia dell’oro nel kumite di Busà, bambino cicciottello e bullizzato salvato dal karate. Come insegna, alla rovescia, la storia del fallimento della scherma italiana, divisa da ripicche e rancori, ammaccata da invidia e superbia.

Ora puntiamo a Parigi, ha già lanciato la gloriosa impresa Malagò, e sia. Ma forse la cosa più sensata l’ha detta Jacobs. «Ok, noi abbiamo vinto. Ma ora portateci i ragazzi in pista». Non solo in pista, anche in pedana, in palestra, in vasca, in campo. Pensare che le 40 medaglie di Tokyo siano un premio allo status quo sarebbe mancare la prossima finale, capire che questo deve essere un punto di partenza, che la volata per i nuovi Jacobs e Tortu, Paltrinieri e Stano è solo all’inizio. Che Tokyo 2020 può riportare i nostri ragazzi a correre, saltare, marciare, nuotare, remare, tirare di scherma. Sognare, in fondo. La nostra 41a medaglia.

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