Il tema difesa in politica ha l’effetto di un terremoto

MONDO. Il ciclone Trump passerà, resteranno le rovine del suo passaggio. La prima ci riguarda direttamente. Riguarda la fine dell’atlantismo, almeno per come l’abbiamo conosciuto in questi settant’anni.

Univa i due continenti. È destinato, se non a dividere, certo a distanziare le due sponde. Detto in soldoni, l’Europa - forse, malauguratamente, i singoli Stati europei - è chiamata a camminare sulle sue gambe, senza più l’appoggio degli Stati Uniti, la prima economia e potenza militare del mondo. L’alleanza con un partner più forte, com’è stato per noi l’America, ha comportato costi e benefici. I costi sono stati una limitazione di fatto della nostra sovranità.

L’intrusione Usa

Quante volte in questo dopoguerra ci siamo lamentati delle intrusioni degli Stati Uniti nei nostri affari, in politica estera (Sigonella, ottobre 1985, gli americani pretendono di farsi consegnare i terroristi sequestratori della nave Achille Lauro) e anche interna (finanziamento dei partiti centristi), per non dire delle interferenze dei loro servizi segreti (anni di piombo e caso Moro).

Viviamo in un mondo in cui la sovranità, persino la nostra sopravvivenza come Stato, non è più assicurata né da trattati né da consessi internazionali (Onu compresa) e neppure dall’equilibrio di fatto stabilitosi tra le grandi potenze

Ne abbiamo avuto, però, anche benefici. Uno assai grande: la protezione da pericoli esterni che all’epoca della guerra fredda significava dall’Urss. Siamo chiamati ora a provvedere alla nostra sovranità - il che significa anche alla nostra incolumità - senza più contare su un alleato potente come sono gli Usa. C’ha pensato l’irruzione della guerra esplosa nel cuore dell’Europa a farci capire cosa significhi questo. Precisamente, che viviamo in un mondo in cui la sovranità, persino la nostra sopravvivenza come Stato, non è più assicurata né da trattati né da consessi internazionali (Onu compresa) e neppure dall’equilibrio di fatto stabilitosi tra le grandi potenze.

Sarebbe bene che non ci dimenticassimo anche di un altro dato. Se per ottant’anni di seguito (fatto assolutamente eccezionale nella nostra storia) abbiamo goduto della pace, non è stato solo per la nostra opzione contraria alla guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», inserita nella Costituzione (articolo 11). Lo è stato soprattutto perché una guerra condotta con la bomba atomica è stata resa impossibile dal suo carattere apocalittico, distruttivo anche per chi ne decidesse per primo l’impiego. Vigeva allora il cosiddetto «equilibrio del terrore» tra Usa e Urss, del terrore ma che comunque equilibrio era.

Con Trump - ha detto bene il presidente francese Macron - è finita l’età della nostra innocenza. Che si ricorra a una difesa singola di ciascun Paese o comunitaria dell’intera Europa, che si tengano eserciti nazionali o si dia vita ad un’armata europea, difesa deve esserci. Senza difesa, infatti, non c’è sovranità e senza sovranità non esiste uno Stato.

Con Trump - ha detto bene il presidente francese Macron - è finita l’età della nostra innocenza. Che si ricorra a una difesa singola di ciascun Paese o comunitaria dell’intera Europa

Fatichiamo forse a realizzare che stiamo vivendo un passaggio storico, destinato a cambiare la nostra vita. Il tema della difesa ha già fatto la sua irruzione terremotante nella politica. Ha inferto una scossa violenta sia alla destra che alla sinistra.

I poli traballano

All’interno dei due poli si sono consumate divisioni verticali che non sono per nulla la turbolenza di una giornata. C’è ora più vicinanza tra Salvini e Conte che non tra ciascuno di essi e i reciproci partner. I poli traballano. E si capisce. Il tema della difesa pone a tutti noi il dilemma esistenziale pace/guerra: un dilemma troppo tragico perché non abbia ragione della distinzione destra/sinistra. Aspettiamoci grandi turbolenze sotto il cielo della politica.

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