Il sostegno ai più fragili e la sentenza vergognosa

ITALIA. In questo Paese che ama definirsi la culla della civiltà e dei diritti, ci sono storie che fanno da cortocircuito, mettendo a nudo le contraddizioni di una nazione che, nei fatti, sembra inciampare su sé stessa.

La vicenda in questione riguarda i più deboli, i bambini e i ragazzi con disabilità, coloro che avrebbero più bisogno di protezione e sostegno, ma che troppo spesso si vedono negare ciò che dovrebbe essere loro garantito. È una storia di diritti negati, di principi che si piegano alle logiche fredde della contabilità, e di un’umanità dimenticata da chi dovrebbe tutelarla. La sentenza del Consiglio di Stato numero 1798 del 2024 ha gettato un’ombra inquietante sul principio del sostegno scolastico per gli studenti disabili. In una decisione che ha scosso le fondamenta del sistema educativo italiano, il Consiglio di Stato ha confermato una pronuncia del Tar, sancendo che l’inclusione scolastica, pur essendo importante, non può essere considerata un diritto incondizionato. In altre parole, l’assistenza ai ragazzi disabili può essere tagliata se le risorse economiche del Comune non lo permettono. Così il diritto all’istruzione diventa una variabile dipendente dai bilanci comunali, equiparato ai fondi per le feste di paese o per le luminarie natalizie.

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso di una famiglia che si opponeva alla riduzione delle ore di assistenza per il proprio figlio, affermando che il diritto all’istruzione non può essere garantito a scapito delle finanze pubbliche. Le associazioni per i diritti dei disabili hanno reagito con indignazione, ricordando che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 265 del 2016, aveva stabilito che il diritto allo studio dei disabili prevale sulle esigenze di bilancio. Ma la giustizia amministrativa ha deciso diversamente, aprendo una breccia pericolosa in un principio che dovrebbe essere inviolabile.

La decisione fa gelare il sangue per le implicazioni che comporta: che i diritti dei più vulnerabili possono essere sacrificati sull’altare della contabilità, anziché essere posti al centro del sistema scolastico, «porro unum», come si dice in termini evangelici, per indicare la centralità di un valore, ciò che più conta; oggi sembra che quel principio sia stato dimenticato, con conseguenze assolutamente gravi.

Ogni studente disabile ha diritto a un Piano Educativo Personalizzato (il cosiddetto PEI), elaborato da un’équipe di esperti, che stabilisce il numero di ore di assistenza necessarie perché lo studente abbia accesso a un percorso di apprendimento adeguato. D’ora in poi se il Comune dichiarerà di non avere fondi sufficienti, quelle ore verranno tagliate e con esse il diritto all’istruzione. Non si tratta solo di una violazione del patto costituzionale che garantisce il diritto allo studio a tutti, ma di un affronto alla dignità di chi già deve lottare quotidianamente contro ostacoli che molti di noi non immaginano neanche.

In questo contesto la decisione del Consiglio di Stato rappresenta un passo indietro, una regressione culturale che offende non solo chi subisce direttamente le conseguenze di questi tagli, ma l’intera comunità, privata di una scuola inclusiva e giusta.

È da queste scelte che si misura il grado di civiltà di un Paese, ed è qui che la nostra democrazia mostra tutta la sua fragilità. Ora non ci resta che confidare nel buon senso e nell’umanità dei nostri amministratori. Ma quanta amarezza, dietro quella sentenza.

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