L'Editoriale
Sabato 18 Giugno 2022
Il silenzio della Cina: priorità agli Usa
Sono in tanti, a cominciare dagli esperti di strategia politica internazionale, a chiedersi cosa si celi dietro il rimbombante silenzio cinese di fronte all’invasione russa dell’Ucraina. Una scelta apparentemente autolesionista, alla luce delle indirette conseguenze disastrose sul piano economico che sta subendo. L’ambizioso progetto della «Via della Seta», avviato negli ultimi anni con investimenti per centinaia di miliardi, si è di fatto interrotto.
Prevedeva la costruzione di una grande autostrada che partendo dalla Cina avrebbe dovuto attraversare tutti i Paesi dell’Asia e la stessa Ucraina, per terminare ad Amsterdam. Nell’ipotesi progettuale, in avanzato stato di definizione, anche un collegamento strategico via mare con l’Europa facendo scalo al porto greco del Pireo, acquistato dalla Cina nel 2016, per terminare a Trieste con le cui autorità portuali erano già stati avviati concreti contatti.
Della situazione di alta criticità in cui si è venuta a trovare la Cina, si è avuta conferma dalle dichiarazioni rilasciate lo scorso 12 giugno dal ministro della Difesa Wei Fenghe allo «Shangai-La Dialogue», l’appuntamento di Singapore dedicato alla sicurezza, ripartito dopo due anni di stop per la pandemia. Tali dichiarazioni hanno avuto conferma in una successiva telefonata tra Putin e Xi. Il ministro ha evidenziato una posizione di sostanziale neutralità della Cina dichiarando che «non ha mai fornito alcun supporto materiale alla Russia». Ha quindi, di fatto, dato conferma dei problemi economici interni affermando che «un conflitto o una guerra sono l’ultima cosa che la Cina vorrebbe vedere in Ucraina». Non ha tuttavia mancato di sottolineare come «gli Stati Uniti sono responsabili dell’attuale situazione con il loro sostegno militare a Kiev e le pesanti sanzioni verso Mosca». Quest’ultima dichiarazione rende del tutto evidenti le ragioni strategiche che tengono ancora ben saldo l’asse russo-cinese: ridimensionare gli Stati Uniti nella posizione di superpotenza mondiale e porre fine all’egemonia del dollaro negli scambi internazionali. Tale egemonia, che ebbe inizio il 22 luglio 1944 con gli accordi di Bretton Woods, subì un pesante contraccolpo il 15 agosto 1971 quando il presidente Richard Nixon assunse unilateralmente la decisione di sospendere la convertibilità del dollaro in oro. Per stabilire un nuovo parametro di riferimento all’oro, fu individuato un paniere di monete attualmente costituito da dollaro Usa, euro, yen giapponese, sterlina britannica e yuan cinese. Nonostante ciò, il dollaro ha proseguito la propria espansione e gli Stati Uniti hanno continuato a mantenere il ruolo di«prima potenza mondiale».
La storia insegna che la moneta di riferimento per un sistema economico è sempre stata quella del Paese egemone: la Spagna nel XVI secolo; l’Olanda nel XVII; la Francia nel XVIII; la Gran Bretagna nel XIX; gli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. All’inizio del nuovo millennio, con la costituzione del Brics (2006), Russia e Cina si sono fatte promotrici di un grande accordo, cui hanno aderito India, Brasile e, da ultimo, il Sudafrica. Con varie iniziative in campo finanziario, ci si è posti l’obiettivo di mettere in crisi il ruolo degli Usa e pervenire alla «de-dollarizzazione» del mercato globale. Gli stessi Stati Uniti hanno paradossalmente fornito un contributo a questa strategia con la scelta sovranista - «America first» - di Donald Trump, che con il conseguente blocco di grandi accordi multilaterali ha determinato un progressivo isolamento.
In questo nuovo, inedito clima s’inserisce il fallace piano bellico di Vladimir Putin, generato dal miope convincimento di poter fare un sol boccone dell’Ucraina, di avere la maggioranza del popolo invaso dalla propria parte e di poter porre solide basi per un nuovo ordine mondiale che vedesse Russia e Cina scalzare gli Usa. Esattamente l’opposto di ciò che si sta palesando nei fatti, con il compattamento dell’Unione Europea e con l’agognato isolamento degli Stati Uniti che appare oggi assai improbabile, visto il nuovo, importante ruolo di tutela e garanzia assunto dalla Nato, alla quale Paesi tradizionalmente neutrali come Svezia e Finlandia hanno chiesto di aderire. Come in una partita di scacchi ad alta intensità e ad altissima posta in gioco, tocca ora alla Cina fare l’ultima mossa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA