Il servitore dello Stato
La politica fa retorica

«Chi sbaglia deve pagare» è la frase che più frequentemente viene pronunciata dai nostri politici e da molti rappresentanti delle nostre istituzioni, di fronte a vicende dolorose come quella dell’appuntato dei carabinieri Emanuele Anzini, morto perché investito da un uomo di 34 anni, che si trovava alla guida della sua auto. Più che di una vicenda, si tratta di una vera e propria tragedia.

L’appuntato dei carabinieri, infatti, era in servizio e stava effettuando un ordinario posto di blocco a Terno d’Isola quando è stato travolto e ucciso dall’automobilista che inizialmente non interrompe la sua corsa, salvo poi ripensarci e tornare indietro a distanza di qualche minuto. Scattano, così, per lui le manette. E i capi di imputazione non lasciano dubbi: omicidio volontario con dolo eventuale, omissione di soccorso, resistenza a pubblico ufficiale e guida in stato di ebbrezza.

Il pm Raffaella Latorraca ha, poi, riformulato i capi di imputazione escludendo il dolo ma confermando le aggravanti. Il 14 febbraio comincerà il processo nel quale Catia Anzini, sorella del carabiniere defunto, l’Associazione italiana familiari delle vittime della strada (Aifvs) e l’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale (Asaps) hanno avuto dal Gup la possibilità di costituirsi parte civile. Possibilità, al contrario, negata dall’Avvocatura di Stato di Brescia - competente territorialmente anche nella Provincia di Bergamo - all’Arma dei carabinieri. In questo modo all’Arma non verrà riconosciuto alcun eventuale risarcimento, seppur in presenza della morte di un servitore dello Stato.

Quello sin qui riportato potrebbe apparentemente risultare un comune, giacché inquietante, fatto di cronaca ma cela in sé qualcosa di più profondo, che non merita di essere derubricato dalla retorica politica degli slogan, una politica che finge di aver sete di giustizia e che, peggio, arranca nell’amministrarla in modo efficace. Nel caso di specie, infatti, il diniego da parte della presidenza del Consiglio dei ministri (cui spetta la decisione finale di costituirsi parte civile), è rintracciabile in motivazioni che se da un lato sono collegate alla mancanza di un interesse legittimo da tutelare, dall’altro sono strettamente riconducibili a scelte politiche ampiamente discutibili, sempre più orientate alla razionalizzazione del personale, che cristallizzandosi sul mito dell’efficienza perdono d’efficacia.

In merito, basti pensare che l’Avvocatura di Brescia, competente per un territorio di oltre tre milioni e centomila abitanti, è dotata di tre avvocati dello Stato e di un solo procuratore: una situazione così precaria che non può che generare disfunzioni e rendere impossibile una gestione efficace della giustizia. E allora, solo la politica, modificando le proprie scelte, potrà evitare questo nocivo conflitto tra istituzioni. Per farlo dovrà, però, decidere scientemente di sbarazzarsi di una retorica melliflua e contestualmente incamerare in sé il seme del coraggio, per non abbandonare mai più al proprio destino i servitori dello Stato.

Non è così che lo Stato può onorare i suoi servitori. Non è così che si rende giustizia alle vittime e alla collettività. Lo Stato torni a fare lo Stato.

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