Il ritorno di Berlusconi e la partita del centro

ITALIA. Su una cosa c’è poco da discutere: Silvio Berlusconi è Forza Italia e Forza Italia è Silvio Berlusconi. Punto.

Che questa assoluta coincidenza di fattori possa rivelarsi un serio problema per il futuro del partito è abbastanza ovvio, anche per questo da qualche tempo in qua il tema del radicamento territoriale è tornato di gran moda (verrebbe da dire urgenza) tra gli azzurri. La nemesi di una realtà nata come partito-azienda, improntata quindi su una leggerezza da contrapporre all’elefantiasi della Prima Repubblica, ma diventata così leggera da rendere necessaria una riorganizzazione fortemente territoriale, sintetizzabile nella frase «un responsabile in ogni Comune» sentita ieri più volte alla convention milanese. O nella recente apertura di una sede provinciale in quel di Bergamo e dalla completa riorganizzazione del movimento giovanile a livello nazionale con 20 nuovi coordinatori regionali.

La (ri)apparizione del leader seppure - e comprensibilmente - via video da un lato ha rincuorato il popolo azzurro, dall’altro non ha però spazzato via i dubbi sul futuro di un partito che ai più appare ancora contendibile nel consenso. Anche se i vertici sostengono il contrario e si dicono semmai (giustamente) attenti alle evoluzioni di ciò che resta del Terzo Polo, financo ai centristi del Pd delusi dalla svolta a sinistra della segreteria Schlein. Nel dubbio Berlusconi, al netto delle ovviamente precarie condizioni di salute, ha ulteriormente insistito su questo secondo fronte, con un intervento apparso più di testimonianza che di prospettiva: nel senso che ha attinto a piene mani alla narrativa delle origini, quella della discesa in campo del 1993 e alla lotta ai comunisti. In sostanza ha riportato le lancette a 30 anni fa.

Un messaggio a tratti forse fin troppo semplice, magari di sicura presa ma forse non proprio contemporaneo e che fa venire in mente le prime scene del morettiano «Il sol dell’avvenire». Quelle dove un giovane assistente se ne esce con un esilarante «ma perché, in Italia c’erano i comunisti?» a sottolineare una certa poca attualità (ma anche l’eccessiva velocità di una contemporaneità che spesso brucia tutto...) di certi temi. Che però in un partito stretto tra l’avanzata della destra nazionalista meloniana e una Lega in ripresa possono avere il loro perché. Tanto più se ci si ritrova terza forza della coalizione dopo esserne stata per un paio di decenni l’elemento trainante, frutto dell’indiscussa leadership di Berlusconi.

Dalla convention milanese, oggettivamente molto ben riuscita e con una notevole presenza della base azzurra, esce un Tajani sempre più nei panni di punto di riferimento del partito, forte anche dei suoi recenti trascorsi europei e del ruolo di vicepremier. Ma è proprio in Europa che paradossalmente Forza Italia potrebbe fare la differenza e da qui - a cascata - anche nella coalizione di centrodestra a Palazzo Chigi: la sua presenza nel Ppe è assodata e centrale, a differenza di quella di una Lega che di fatto non ha ancora deciso cosa fare della propria futura collocazione, come sottolineato dallo stesso Tajani.

Quella dimensione europea alla quale ha accennato anche Berlusconi nella parte politicamente più di prospettiva dei suoi 20 minuti d’intervento, definendola «il nostro orizzonte di riferimento». E questo posizionamento ormai consolidato degli azzurri nel Ppe potrebbe giocare un ruolo importante nelle prossime Europee, soprattutto se si cercherà, come pare, di andare oltre la «maggioranza Ursula». Nel frattempo Forza Italia festeggia il ritorno del suo nume tutelare, cerca di limare qualche tensione interna ancora latente (ieri alcuni passaggi pungenti dell’intervento di Licia Ronzulli qualche applauso l’hanno preso...) e soprattutto di giocare su due fronti: quello dell’esperienza (indubbia) della sua classe dirigente e quello del radicamento. Con uno sguardo sempre più fisso verso il centro, il futuro passa comunque da lì.

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