Il ritorno alla ragione: così Trump paga dazio

MONDO. Il «ciclone» Trump continua ad imperversare sugli scenari internazionali, ma sta lentamente perdendo forza. Dopo un primo momento di sorpresa, alleati, simpatizzanti e concorrenti hanno iniziato a rispondere con contromisure economiche, dichiarazioni politiche e levate di scudi. Sulla stampa e nelle stanze dei «bottoni» non sono mancate le battute di spirito.

È vero, «facciamo» ops «Make Europe Great!» Quindi: Canada, nuovo membro dell’Unione europea, la quale potrebbe mutare la sua denominazione in Unione euro-atlantica; Groenlandia di nuovo parte dei Ventisette dopo la sua uscita nel 1985 per evitare le quote continentali per la pesca.

Subito dopo che Donald Trump ha annunciato l’innalzamento di pesanti dazi contro Canada, Messico e Cina, Wall Street ha riportato il «tycoon» alla ragione. Il terremoto finanziario provocato è servito a ricordare a tutti il boomerang che sarebbero questi dazi (ora parzialmente sospesi) per la stessa economia Usa e che il vivere quotidiano di oggi non è mai stato così integrato tra i cinque continenti. Il «buon senso» - ops «common sense» - e il trionfo delle soluzioni facili da social media hanno così fatto segnare un passaggio a vuoto.

Gaza trasformata in «Riviera»

Gaza trasformata in una «Riviera», il popolo palestinese trasferito in altri Stati. È dai tempi di Stalin, del «padre dei popoli», che non si leggeva roba del genere. La tragedia russo-ucraina «risolta in 24 ore» dopo il 20 gennaio 2025 - giorno dell’insediamento alla Casa Bianca - non vedrà ancora la presentazione di un piano per una tregua, primo passo verso la fine di questo immane spargimento di sangue.

Le relazioni con Putin

Trump, Putin (che ieri si sono sentiti al telefono) e Xi Jinping. Leader settantenni con visioni da epoca passata; il secondo che segue per la Russia addirittura una politica di potenza da secolo scorso. Trump è conscio che questo è l’ultimo momento per gli Usa per evitare il «sorpasso» cinese nei prossimi decenni. Logico che tenti di fermare il Dragone, blindando - a parte le armi - innovazione, know-how e imponendo strette a commerci mondiali e materie prime. Xi ha, invece, tutto l’interesse a non far mutare le attuali dinamiche della globalizzazione. Troppo tardi, forse: gli occidentali si sono accorti che russi e cinesi hanno compreso del nostro sistema di vita quello che a loro conveniva. Gli Stati Uniti hanno la leadership dell’Occidente che abbraccia non solo i Paesi del G7 (tra questi anche Regno Unito, Canada e Giappone) ma anche la Corea del Sud e l’Australia. Imporre politiche non concordate significa metterla a repentaglio. Anche perché, come osservava Simone Veil, il nostro mondo democratico, fondato sui diritti, è un’isola felice circondata da dittature. Tanti sono anche oggi i pericoli in giro. Lo stesso vale per interventi a gamba tesa su questioni interne ai Paesi alleati. Non sorprende che, dopo le esternazioni di Elon Musk, le vendite della Tesla in Europa siano affondate.

Il ruolo dell’Europa

Il «ciclone» Trump, a meno di folli colpi di coda, non è, però, una sciagura per l’Occidente. Anzi. È uno stimolo. Primo, ha dimostrato che certi antidoti anti autoritari sono ancora forti nel nostro mondo democratico- liberale. Secondo, sta facendo uscire l’Ue dalle grinfie dei filosofi dello 0,1% e porre lo sguardo verso obiettivi più elevati, anche ideologici e geostrategici. Nell’emergenza, in breve, si sta facendo oggi la nuova Europa. Terzo. Ha riavvicinato le sponde della Manica. Il modello applicato alle relazioni con Londra potrà essere usato anche con Paesi lontani, ma che condividono il nostro modo di vivere. E se invitassimo la California nell’Ue?

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