Il risiko delle nomine
dei vice ministri

Mario Draghi ha deciso che sulla partita dei sottosegretari del suo governo i partiti abbiano più gioco, e questo spiega il ritardo con cui fatica ad arrivare la decisione definitiva. Dal Consiglio dei ministri di ieri avremmo dovuto conoscere la lista ma così non è stato: se ne parlerà tra oggi e domani o alla fine della settimana: dipende. Dipende dai mille problemi che i partiti stanno cercando di risolvere. Innanzitutto sul numero e la ripartizione delle poltrone: il totale fa 40 di cui 11 o 12 ai grillini, 7-8 a Lega e Pd, 5-6 a Forza Italia, un paio a Italia Viva e 1 a LeU. Poi ci sono le ripartizioni all’interno dei partiti tra le varie correnti e i generi, maschile e femminile. Il problema più grosso si è creato col caos grillino: i gruppi parlamentari del M5S col voto di fiducia a Draghi hanno perso 41 parlamentari tra Camera e Senato e dunque la loro rappresentanza rispetto al Conte II deve essere ridimensionata: cosa non facile dal momento che le mille anime del movimento sono tutte in subbuglio mentre la scissione è nelle cose (Alessandro Di Battista si è cancellato dalla lista degli iscritti) e i «governisti» devono spartirsi meno posti, forse addirittura 10.

Dovrebbero essere molte conferme dei grillini più influenti, anche se con non poche difficoltà: per esempio Laura Castelli (quella che contestò un allibito Pier Carlo Padoan con un perentorio: «Questo lo dice lei!») dovrebbe fare il viceministro di Daniele Franco. Guarda caso lei e altri grillini fecero cacciare Franco dalla Ragioneria Generale dello Stato perché a loro giudizio «remava contro» le decisioni del governo Conte I ai tempi della «sconfitta della povertà». Non solo, nella stessa tornata di epurazioni si ritrovò anche l’allora capo di gabinetto del Tesoro Roberto Garofoli, oggetto di una violenta campagna di stampa grillina per accuse rivelatesi poi infondate, e che oggi Draghi ha riportato a Palazzo Chigi come suo strettissimo collaboratore, oltretutto estensore della lista dei sottosegretari. Come farà la Castelli a resistere sulla poltrona?

Altro caso scottante, la presenza di donne nella delegazione del Pd. All’indomani della rivolta femminile contro la designazione di ministri solo maschi il segretario Zingaretti promise che avrebbe proposto al ruolo di sottosegretario o viceministro solo donne. Poi si rese conto che c’erano anche dei maschi difficilmente sostituibili in posti chiave (Misiani all’Economia per dirne uno) e l’affermazione si è un po’ scolorita. Probabilmente si rispetterà la più moderata richiesta di Draghi: alle donne il 60 per cento dei posti. Tra uscenti e scalpitanti sarà una bella gara.

Poi c’è la Lega che fortissimamente vuole il Viminale per controllare da vicino la ministra Lamorgese e dare il proprio «tocco» al ministero dell’Interno magari con un moderato come il lombardo Stefano Candiani che peraltro in quel palazzo c’è già stato nel Conte I. Da lì dovrebbe stare attento che non si facciano troppe concessioni ad una politica delle immigrazioni «di sinistra». Il Carroccio poi vorrebbe un proprio uomo anche alla Salute per la stessa ragione: per tenere alta la tensione Salvini ogni giorno bombarda il commissario Arcuri chiedendone l’immediata rimozione.

Per quel che riguarda Forza Italia, di sicuro ci sarà Francesco Paolo Sisto, un avvocato molto stimato ma la cui linea ultra garantista non potrà essere facilmente digerita sia da pezzi del Pd che da LeU.

Come si vede, il solito rebus, anzi forse un po’ più complicato del solito. Draghi ha chiesto ai partiti una terna di nomi per ciascuna poltrona, poi deciderà lui. Come sempre vorrà fare.

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