Il rigore olandese
desta sospetti

Fra le tante ipotesi scientifiche e incertezze organizzative e prospettiche che stiamo vivendo in queste ore, una cosa appare certa: la tragedia del Covid-19 rappresenta un passaggio decisivo e improcrastinabile per un’effettiva riconfigurazione sociopolitica dell’Europa. Se non si troveranno adeguate risposte istituzionali, tempestive e concrete, di tipo «comunitario» in grado di far fronte ai problemi di famiglie e imprese, il progetto europeo rischia di fallire, questa volta davvero e definitivamente.

Di tali urgenze e nodi da sciogliere avrebbe dovuto farsi carico il Consiglio straordinario dei capi di Stato e di governo europeo del 26 marzo scorso, che si è invece concluso - come noto - con un nulla di fatto e con un rinvio, ancora in atto, nella ricerca di un accordo tra due diverse posizioni. Quella del gruppo dei «quattordici» con Italia, Francia, Spagna e Portogallo in testa, che hanno sostenuto la necessità della emissione di Eurobond. Questi, disponendo della tripla A, sarebbero accettati in tutto il mondo e costituirebbero un consistente «debito europeo» che potrebbe essere utilizzato per un grande programma di investimenti necessari per rilanciare l’economia.

A questa proposta si sono opposti Olanda, Austria, Finlandia e Germania che ritengono sia stato fatto già tanto con la sospensione del «Patto di Stabilità», con la possibilità di superare il tetto del 3% del deficit, con la sospensione alle regole della concorrenza per quanto riguarda gli aiuti di Stato. Ricordano, tra l’altro, che la Bce, dopo aver aumentato il programma di acquisto di titoli pubblici per 120 miliardi, ne ha mobilitati altri 750, ottenendo la possibilità di acquistare prevalentemente i titoli di quegli Stati su cui potrebbe concentrarsi la speculazione finanziaria. La necessità di ricorrere all’indebitamento da parte dell’Europa per finanziare la crescita è stata sostenuta anche da Mario Draghi in un’intervista al Financial Times che ha riscosso largo consenso, ma anche una decisa contrarietà da parte del ministro delle Finanze olandese Jeroen Dijsselbloem, il cui timore è che al nuovo debito europeo si aggiunga quello in essere nei Paesi mediterranei giudicati lassisti.

È questa la ragione per cui fino ad ora sia stato consentito solo l’utilizzo senza condizioni del «Fondo Salvastati» (Mes), per spese sanitarie. Ciò appare assai poco per il gruppo dei quattordici che continua a ritenere sia giunto il momento che l’Europa si manifesti in linea con le idee sociali e federali che l’hanno partorita, aprendosi alla costituzione di un debito europeo comune che potrebbe rappresentare la prima tappa di un programma che si proponga di giungere alla realizzazione di una politica economica e finanziaria europea. Proprio questa prospettiva, alla quale i 14 Paesi stanno lavorando, contrasta con gli interessi dell’Olanda che rappresenta oggi il più grande paradiso fiscale al mondo. Le cifre ce le fornisce, ironia della sorte, l’economista olandese David Hollanders sul sito «socialeurope.eu», dal quale si apprende che ad Amsterdam hanno la sede sociale circa 12 mila società per un controvalore fiscale di 4 miliardi di euro. Fra di esse c’è il Gotha della finanza globale con 80 delle maggiori aziende mondiali e quasi metà delle 500 compagnie della classifica di Fortune.

A queste società l’Olanda concede di concordare un trattamento fiscale speciale direttamente con il ministero delle Finanze e garantisce che questi accordi siano rigorosamente segreti anche per i parlamentari. I maggiori vantaggi offerti riguardano la tassazione sui dividendi, il risparmio fiscale sulle plusvalenze, che non vengono tassate, e sulle royalties che, più in generale, riguardano il pagamento di tutti i diritti per lo sfruttamento di un marchio o di un format produttivo o commerciale. Anche importanti società italiane sfruttano il sistema fiscale olandese, comprese alcune controllate dallo Stato. Recentemente «Il Sole -24 Ore» ha riferito di un rapporto riservato di una società di intelligence che presenta un’Olanda caratterizzata da sistemi di tangenti, da rapporti conniventi tra imprenditori e politici, da diffusa corruzione. Un’immagine ben diversa da quella che gli olandesi presentano nei vertici europei nei quali predicano il rigore. Verrebbe da dire: da che pulpito viene la predica.

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