L'Editoriale
Domenica 09 Giugno 2024
Il ricordo dello sbarco e la paura del futuro
MONDO. L’eco delle celebrazioni per l’ottantesimo anniversario dello sbarco alleato in Normandia, realizzato il 6 giugno del 1944 nel cosiddetto D-Day, non si sono ancora spente. Ma più passano i giorni più ci rendiamo conto che l’evento ha lasciato dietro di sé un’atmosfera tutt’altro che festosa e proiettata verso il futuro.
Anzi: a un’atmosfera triste e preoccupata si è aggiunto il costante paragone con il passato, all’insegna dello slogan «ieri la Normandia, oggi Kiev» che dovrebbe far tremare le vene ai polsi non solo agli ucraini, che il paragone (valido o no) già lo vivono sulla propria pelle, ma anche a tutti gli europei.
Naturalmente al centro di tutto c’è la Russia di Vladimir Putin, non invitato all’evento cui invece aveva partecipato nel 2004 (60° anniversario) e nel 2014, quando fu anche occasione di incontri con la Merkel, Hollande e il presidente ucraino Poroshenko sul conflitto nel Donbass e in Crimea. E non tanto per ragioni storiche: lo sbarco in Normandia è ormai raccontato, e con molte ragioni, come la svolta decisiva del secondo conflitto mondiale, dimenticando magari che nelle stesse settimane le truppe sovietiche, con l’Operazione Bagration, arrivavano alle porte di Varsavia, spazzando via 500mila uomini dell’Heeresgruppe Mitte della Wermacht.
Il punto, viceversa, è politico. Tutto il ricordo del D-Day è stato impostato sull’analogia Putin-Hitler e sull’idea che un’eventuale vittoria del Cremlino in Ucraina non solo sarebbe il trionfo delle autocrazie sulle democrazie ma metterebbe in pericolo l’Europa intera. Perché Putin, proprio come Hitler, non sarebbe soddisfatto da quella vittoria ma proverebbe ad aggredire anche altri Paesi. E quindi il messaggio è: prepariamoci alla terza guerra mondiale. Facciamo sacrifici, armiamoci, stringiamoci l’un Paese all’altro. La guerra con la Russia forse non è imminente ma certo è possibile. E se non è un triste sentimento questo…
Chi qui scrive non crede a molti dei presupposti di questa convinzione. Non crede che la Russia voglia conquistare l’Ucraina, ma «solo» una parte di essa. Non crede che, nemmeno in questa ipotesi, la Russia sia così vicina alla vittoria. E non crede che, seppure dovesse «vincere» in Ucraina (e resta da stabilire come e cosa), la Russia avrebbe l’ardire o la capacità di aggredire un Paese Nato, visto che ormai i confini dell’alleanza militare sono sovrapposti a quelli della Ue. Com’è ovvio, posso sbagliare. Anzi, sbaglio di sicuro. Ma allora la prima domanda è: se quella è la prospettiva, perché da due anni e mezzo lasciamo gli ucraini soli a combattere? Se la loro è anche la nostra battaglia, perché non scendiamo in campo? Per fermare Hitler gli alleati lo fecero. Al D-Day parteciparono 73mila americani, 62mila britannici e 21.500 canadesi e circa 10mila soldati persero la vita. Accanto a loro più di 3mila civili francesi, finiti sotto i bombardamenti incrociati. Non solo. Per stroncare la Germania nazista non ci fu esitazione nell’allearsi all’Urss staliniana, e ad approfittare della sua capacità di sacrificio in termini di vite umane. Che senso pratico, politico e persino economico ha spendere 43 miliardi di dollari l’anno per aiutare gli ucraini a farsi decimare dagli invasori russi senza entrare direttamente in lotta? Che senso ha non fare un sacrificio grande oggi (partecipare alla battaglia) per prepararsi a farne uno enorme (la guerra totale con la Russia) domani?
E poi, seconda domanda: siamo sicuri che «sicurezza» e «riarmo» siano sinonimi? L’esperienza dovrebbe dirci il contrario. Il riarmo russo ha portato a invasioni e guerre. Ci viene spiegato ogni giorno che la Nato (che già prima del 2022, sommando i Paesi membri, equivaleva al 58% delle spese militari mondiali) è garanzia di sicurezza. Allora come mai proprio oggi, quando la Nato è giunta alla sua massima espansione, parliamo di una possibile nuova guerra mondiale? Perché ci sentiamo così insicuri? Perché la Finlandia, entrata l’anno scorso nella Nato dopo decenni di semi-neutralità (aveva già una partnership privilegiata con l’Alleanza), ha già chiesto agli Usa di mandare truppe a rinforzo?
Tutto questo è il frutto di scelte del passato che paghiamo nel presente. E il peggio è che non si vede il modo di bloccare quella che, in qualche momento, sembra una vera bomba a orologeria.
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