
L'Editoriale
Sabato 03 Novembre 2018
Il Quirinale vigila,
l’Europa ci guarda
La lettera che il presidente della Repubblica il 1 novembre ha inviato a Giuseppe Conte sulla manovra di Bilancio non è che l’ultimo atto di una lista di sollecitazioni che, a scorrerla, ha un che di martellante. Basta vedere le date. Solo un giorno prima della lettera citata («difendere il risparmio degli italiani», «porre l’Italia al riparo dell’instabilità finanziaria») Mattarella, in occasione della Giornata del Risparmio, aveva richiamato non solo la necessità di salvaguardare i risparmi delle famiglie italiane ma anche il valore della stabilità economico-finanziaria dell’Italia in un contesto di «equilibrio dei bilanci pubblici». Nella settimana precedente, il 23 ottobre nel discorso ai sindaci il Capo dello Stato aveva affermato che la «logica dell’equilibrio di Bilancio non è semplicemente quella di un astratto rigore» e che bisogna procedere «scongiurando il disordine finanziario i cui contraccolpi colpirebbero soprattutto le fasce più deboli della popolazione».
E tutto questo in un quadro in cui il primo cittadino, ricordando l’interventismo del suo predecessore Giovanni Gronchi, rivendicava a sé (18 ottobre) «il diritto-dovere di segnare indirizzi e orientamenti quando lo ritenga essenziale agli interessi della Nazione» sia pure senza sovrapporsi a Parlamento e governo. Né va dimenticato che, a proposito di sicurezza e immigrazione, firmando il decreto emanato da Salvini, aveva aggiunto una postilla ufficiale in cui si legge: «Restano fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato pur se non espressamente richiamati nel testo normativo», che è una vera e propria correzione del decreto.
Basta insomma questo elenco, che potrebbe continuare, a dire quanto il presidente della Repubblica segua con apprensione la politica governativa sia sotto il profilo dell’economia che di quello migratorio. In altre occasioni Mattarella ha insistito nella necessità di dialogare con le istituzioni europee e con i partner evitando in ogni modo un isolamento del Paese che porta solo conseguenze negative. Chissà allora cosa avrà pensato guardando come gli europarlamentari grillini hanno travisato le parole di un’intervista dell’ex commissario europeo Dijsselbloem mettendogli in bocca addirittura l’incitamento ad un attacco finanziario all’Italia per farci capire che dobbiamo restare nei ranghi. Parole che il «falco» delle finanze Ue non ha mai pronunciato.
Episodi che Mattarella certamente guarda con fastidio e preoccupazione. Anche perché ha ereditato un ruolo che la crisi del 2011 ha attribuito nei fatti a Giorgio Napolitano: non è un mistero che da Berlino, Francoforte, Bruxelles si guardi al Quirinale come all’unica istituzione «stabile» – l’unica che duri sicuramente sette anni – e affidabile. È la stessa Europa che ci rinfaccia di non aver mantenuto la parola sugli obiettivi di deficit messi nero su bianco non solo da Pier Carlo Padoan, ma anche dal suo successore Giovanni Tria agli esordi del governo giallo-verde. La diffidenza atavica nei nostri confronti deve aver così indotto ben dieci Paesi del Nord (una nuova «Lega Anseatica») a chiedere alla Commissione di stringere i cordoni del fondo Salva-Stati, una sorta di misura anti-contagio che, in caso di crisi finanziaria molto seria, metterebbe alle corde l’Italia e di fatto la spingerebbe fuori dell’eurozona. Una sola cosa consola Mattarella nella sua continua richiesta di moderazione a Tria, Conte e soprattutto Salvini e di Maio: che a quel punto sarebbe l’euro nel suo complesso ad andare fuori controllo in un avvitamento le cui conseguenze oggi non sono nemmeno immaginabili. Guarda caso, proprio quelle cui pensa Savona, l’economista che Mattarella non ha voluto ministro dell’Economia, quando insiste perché l’Italia si doti di un «piano B».
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