Il problema del debito
Ora è solo congelato

Con un documento datato 25 novembre, la Bce ha messo tutti in guardia sul forte aumento del debito determinato dal Covid, che «pone rischi alla stabilità finanziaria a causa del crescente legame tra aziende, Stati e banche». Il problema del debito è dunque stato solo «anestetizzato» dalla politica monetaria espansiva della Bce e tornerà prepotentemente di attualità quando la crisi pandemica potrà finalmente considerarsi superata. Molti Paesi, consapevoli della gravità del problema, stanno già avanzando l’ipotesi che la sospensione del Patto di stabilità e del Fiscal compact venga rinviata oltre il termine stabilito del 2022 e che, nel frattempo, ci si impegni a ridiscutere parametri ormai desueti, come il deficit strutturale o il complesso criterio di calcolo del Pil potenziale.

Per quanto ci riguarda, non si potrà trascurare la necessità di programmare interventi incisivi di riduzione del nostro debito, che è già salito al 160% in rapporto al Pil e al 10,8% in rapporto al deficit. Tali indicatori sono destinati a peggiorare nei prossimi mesi se, perdurando la pandemia, il governo dovesse porre in essere ulteriori misure a sostegno dei vari settori produttivi.

Gli interventi da realizzare dovranno essere quelli di cui si parla invano da tempo: la riduzione delle spese inutili, calcolate in circa 60 miliardi l’anno da Carlo Cottarelli; il rientro dall’evasione fiscale stimata in circa 120 miliardi l’anno; il contenimento dell’economia sommersa, che supera ormai i 200 miliardi l’anno; la riorganizzazione della Pubblica Amministrazione.

Il nostro problema principale continua ad essere rappresentato dal costo del finanziamento del debito, che viene stabilito dal mercato e che per ora non genera problemi, come dimostra il soddisfacente andamento dello spread, visto che il Btp decennale è sceso allo 0,60% sul mercato secondario. La situazione, però, potrebbe cambiare radicalmente in presenza di un aumento dei tassi che la politica espansiva della Bce rende sempre più probabile. La sostenibilità del nostro debito dipende essenzialmente dalla strettissima correlazione tra livello dei tassi d’interesse sui titoli del debito e crescita dell’economia. Se il ritmo di crescita del Pil nominale, comprensivo dell’inflazione, è superiore al costo di finanziamento del debito, quest’ultimo tende nel tempo a decrescere. Altro scenario si prospetta quando la crescita risulta inferiore al tasso d’interesse. A quel punto occorrerebbe contare su consistenti avanzi primari, al netto delle spese per interessi, per poter ricondurre il debito su una traiettoria di sostenibilità. Da qui la necessità degli interventi prima indicati, dai quali potrebbero essere ricavate consistenti risorse per favorire gli investimenti e alimentare i consumi.

Su questi temi si è soprattutto soffermato il G20 svoltosi «virtualmente» in Arabia Saudita il primo novembre scorso, che ha messo in evidenza, tra l’altro, la necessità di predisporre strade nuove per contrastare l’enorme incremento del debito pubblico globale, che ha ormai raggiunto i 270 mila miliardi di dollari e che, unito al debito privato, è pari a quasi quattro volte il Pil mondiale (395%). L’ipotesi di cancellazione del debito causato dal Covid-19, avanzata anche dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli, è subito apparsa una scorciatoia non percorribile perché, come ha affermato Christine Lagarde, presidente della Bce, richiederebbe una revisione dei Trattati. Tuttavia, questa e altre alternative ed ipotesi saranno discusse a partire dal prossimo anno, come ha annunciato al termine del G20 Kristalina Georgieva, numero uno del Fondo monetario internazionale, che ha auspicato «uno sforzo coordinato» nell’ottica d’individuare «architetture nuove» per il debito globale. La presidenza del G20 per il prossimo anno spetterà all’Italia e chissà che da questo importante impegno non possano scaturire ulteriori efficaci strategie anche per la riduzione del nostro debito.

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