Il premier decisionista
al di sopra delle parti

Chi sperava che Mario Draghi dicesse una parola, fare un sospiro, una smorfia, insomma sbilanciarsi un poco sulla candidatura al Quirinale è stato deluso. Niente titoli. Solo: «Non rispondo su questo». Stop. Conferenza stampa tutta dedicata al Covid, alle ultime decisioni del Consiglio dei ministri, alle restrizioni che gli italiani devono ancora subire, all’irresponsabilità dei no-vax. E poi incontro con i giornalisti considerato «atto riparatorio» per il silenzio dell’altra sera quando la riunione del governo si è conclusa senza che nessuno, e tantomeno il presidente, si affacciasse in sala stampa per spiegare provvedimenti presi. «Abbiamo sottovalutato le attese, me ne scuso», le poche ma - dato il tipo - significative parole di Draghi ai giornalisti. Niente altro per aiutare i media a ricostruire la giornata politica intorno alle sue esternazioni. Con una sola flebile eccezione. Dice Draghi: «La scuola resta aperta, è un obiettivo chiarissimo del governo, è una decisione presa tutti insieme, e questo è la dimostrazione che sono sbagliate le critiche di chi mi accusa di non decidere più come nei mesi passati».

Bene, il passaggio è un po’ criptico, l’interpretazione sottile ma neanche tanto: nelle scorse settimane alcuni giornali hanno scritto che non c’è più il Draghi «decisionista», quello che andava avanti come un carro armato infischiandosene delle proteste dei partiti, e che non c’è più perché troppo preoccupato di non inimicarsi nessuno in vista del voto sulla presidenza della Repubblica.

Quindi un Draghi dimezzato dalle sue stesse ambizioni, indebolito nella fase delicatissima di passaggio che, guarda caso, coincide con un altro periodo di massima emergenza della pandemia. Un’accusa che l’interessato respinge: «Vedete? Io continuo a decidere come prima». Possiamo interpretare questa frase come un passo indietro o un passo di lato rispetto alla candidatura? Troppo poco per trarre conclusioni ma non così poco per non notare che il presidente del Consiglio tiene a difendere la sua figura di personalità al di sopra delle parti, capace per questo di fare sintesi della sua «vasta maggioranza» e portarla anche a decisioni unanimi, che è una cosa importante «purché - avverte - abbia un senso». Altro accenno: sempre sulla scuola. Difende la linea aperturista, ricorda che la Dad è un danno per i ragazzi, ironizza sul fatto che non si può chiedere di chiudere le scuole quando poi si tengono aperte le pizzerie dove i ragazzi vanno a passare le serate, e poi aggiunge: «Questa è la nostra linea, non si faceva così in passato». Critica non tanto velata alle decisioni ondivaghe proprio sulla scuola del Conte-bis e della ministra dell’Istruzione Azzolina.

Quanto a non farsi nemici inutilmente, di sicuro Draghi non si preoccupa dei no-vax (tra i quali non pochi deputati e senatori) contro i quali anzi suona la carica: li addita come la causa delle difficoltà del momento, delle pressione che si sta sempre di più esercitando sugli ospedali e le terapie intensive, e invita a non seguire il loro esempio e a vaccinarsi. Da questo punto di vista rivendica di aver portato l’Italia ad essere il primo Paese che ha introdotto l’obbligo vaccinale, innanzitutto per alcune categorie professionali e poi su una base anagrafica coinvolgendo la classe d’età «che più è colpita dal Covid», «decisione presa sulla base dei dati scientifici» , e anche qui c’è un’eco delle polemiche politiche e giornalistiche sulla questione dei 50 anni (la Lega premeva per alzare il tetto a 60 se non a 65). Naturalmente nessun commento all’ultima esternazione di Berlusconi che dichiara Forza Italia indisponibile a sostenere un governo che non sia presieduto dall’ex capo della Bce. Di fatto è uno stop a Draghi candidato al Quirinale: se anche Berlusconi smentirà queste parole, il segnale è arrivato forte e chiaro.

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