L'Editoriale
Sabato 02 Ottobre 2021
Il Pil non misura
ciò che conta
Il ministro dell’Economia Daniele Franco ci ha dato una buona notizia. Rispetto alla flessione del Prodotto interno lordo del 2020 - quasi del 9% - ne recuperiamo quest’anno i due terzi. Tutto bene dunque? Possiamo dire addio ai nostri problemi economici, tenuto conto che le previsioni sono ottimistiche e parlano di una ripresa a pieno ritmo nei prossimi anni? Per nulla. Guai a basarsi solo su un indicatore economico (la somma del valore dei beni e dei servizi prodotti da un Paese in un dato periodo). Basterebbe citare uno dei discorsi più famosi della storia economica, quello tenuto da Bob Kennedy alla Kansas University il 18 marzo 1968: «Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, comprende le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei nostri valori familiari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta».
Ma non c’è solo Bob Kennedy a ricordarci che il Pil non misura ciò che conta davvero. Una corrente di economisti da anni – soprattutto in Francia - sta sviluppando misuratori molto più complessi per valutare la ricchezza di una società e i modi con cui calcoliamo le performance della produzione. Secondo il Nobel Joseph Stiglitz, che guida un’apposita commissione incaricata di andare «oltre il Pil» insieme ad studiosi di vaglia del calibro di Jean-Paul Fitoussi o Martine Durand, capo statistico dell’Ocse, questo indicatore «è largamente deficitario nella valutazione del progresso sociale».
Il Pil è diventato la foglia di fico delle diseguaglianze, sempre più sviluppate, non guarda al degrado sociale, ambientale e al depauperamento delle risorse (volete un esempio? Le bollette della luce e del gas il prossimo mese aumenteranno in maniera intollerabile per chi fa fatica a tirare la fine del mese). Il Pil non guarda, per dirla sempre con Stiglitz, Fitoussi e Durand (autori di un prezioso saggio dal titolo «Misurare ciò che conta», Einaudi) al benessere soggettivo dei cittadini, alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, alle diseguaglianze di reddito e di ricchezza. Un po’ come la vecchia storia del pollo di Trilussa, non si accorge che l’effetto leva della finanza sta creando disparità economiche mostruose tra una minoranza di super ricchi e masse enormi di nuovi poveri.
Dunque benvenuto aumento del Pil, ma non fermiamoci qui. Sarebbe devastante per il Paese post pandemia. La ricchezza collettiva è importante. Ma le sfide più importanti ci attendono sul piano della tutela del lavoro e dell’ambiente, del fisco e dell’istruzione. Altrimenti il Pil rimane un guscio vuoto, uno schermo di ombre cinesi. Il ministro ha elencato una serie di fattori che hanno inciso sulla ripresa del Paese. Tra questi l’economia internazionale, le esportazioni dinamiche, l’effetto delle misure di sostegno all’economia sia sul lato fiscale che monetario. Oltre che il forte miglioramento del clima di fiducia di imprese e famiglie e ovviamente il miglioramento del quadro sanitario. Ma tutto questo non basta. Se il Governo non provvederà a mettere a punto tutta una serie di riforme, il Paese ricadrà nella sua crisi e acuirà le differenze sociali, poiché le economie non si riprendono mai del tutto da una flessione profonda, come quella che ci trasciniamo dal 2008, acuita dalla pandemia, se non sapremo cogliere il momento per ricalibrare i diritti, punire i monopoli ed eliminare gli enormi privilegi dell’economia di mercato. Se ne parlerà sabato ad Assisi nel secondo convegno dedicato all’economia di papa Francesco. Poiché insieme a un pugno di economisti illuminati la dottrina sociale della Chiesa è una delle poche correnti culturali a sollevare, anzi a gridare, la questione centrale della nostra epoca.
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