L'Editoriale
Martedì 07 Febbraio 2023
Il piano Usa per investire
Mondo. Troppo impegnata sulle piccole cose provinciali della polemica dei e nei partiti, bisognerebbe chiedere all’Italia di guardare un po’ più in là del suo naso.
Tutti sappiamo cosa è successo dall’inizio del terzo decennio: pandemia, guerra, inflazione, crisi economica. Ma qualcuno si è solo lamentato e ha chiesto i danni per le accise, mentre altri nel mondo hanno pensato più in grande prospettando cambiamenti davvero storici, nel bene e nel male. Rientra tra queste risposte epocali quella sciagurata di Putin, che ha messo in campo uno strumento otto-novecentesco, una guerra, per reagire ad un accerchiamento da lui giudicato insopportabile. Prima ancora c’era stata quella del cinese Xi con l’idea della nuova «via della Seta», opzione nella quale era prontamente cascato l’inesperto ministro degli Esteri italiano dell’epoca, (quando tornerà ad esserci, e parliamo anche dell’attualità, una politica estera italiana?).
Ma c’è qualcosa che ci riguarda ancor più direttamente. Il 16 agosto scorso, con gli italiani al mare e Draghi rimandato a casa per lasciar spazio all’anacronistico fascino sovranista, il nostro principale alleato, il presidente americano Biden (che su questo ha quasi vinto le elezioni di novembre), ha varato una legge, l’Inflation reduction act (Ira) che può sconvolgere tutti gli equilibri economici transatlantici. È la sfida forse decisiva per la tenuta dell’Occidente, che crede di essere l’ombelico del pianeta ed è invece sempre più minoranza, come si vede sulla questione dell’invasione russa. Paesi che dovrebbero stare con noi, come il Sudafrica, rafforzano i legami con la Russia (esercitazioni militari comuni), o come il Brasile di Lula non sanzionano Putin. I Paesi poveri attribuiscono a noi ricchi un’inflazione che costerà 1.100 miliardi in più nel 2023 al loro debito.
L’Ira, fondamentalmente, mette in campo, in coda ai 1.700 miliardi già stanziati antipandemia, un budget di 739 miliardi di dollari, 391 dei quali spesi per l’ambiente e il clima, con obiettivo la riduzione del 42% delle emissioni entro il 2030. Soldi a profusione sull’energia eolica e solare, su quella nucleare e geotermica, per la cattura dell’anidride carbonica e i combustibili a zero emissione di carbonio, la decarbonizzazione dei trasporti e le infrastrutture per l’energia pulita.
Ma il giubilo per questo soprassalto di impegno ambientale va ben inquadrato: in realtà, il meccanismo, basato su crediti di imposta rivolti agli investimenti tecnologici in tanti campi diversi, ha un formidabile effetto calamita per investimenti in Usa, in diretta competizione con l’Europa. Insomma, dietro l’enfasi ambientalista (da molti criticata per l’effettiva efficacia degli interventi) c’è la quantità incredibile di sussidi a imprese e famiglie perché si torni a comprare americano con un rischio evidente di cannibalismo economico per l’Europa, che a sua volta dorme. Ci sono aziende europee come Solvay che già si sono buttate a pesce sulle agevolazioni Ira. In Italia si discute di Zelensky a Sanremo. In Europa, solo Macron e Scholz si sono mossi per chiedere una controffensiva, ma hanno la coda di paglia, perché in tempi di pandemia la Germania ha erogato aiuti di Stato per 356 miliardi e la Francia 162: 77% di quanto stanziato da tutti i 27 Paesi. Italia: 55 miliardi.
La differenza con gli Usa è che gli stanziamenti, in mancanza di politica fiscale comune, da noi sono nazionali, previa burocratica e farraginosa negoziazione con Bruxelles, mentre in Usa interviene rapidamente lo Stato Federale. L’Europa per ora insegue la penultima sfida, quella cinese, con il «Global Gateway» che la von der Leyen vorrebbe affidare al coordinamento di Draghi. Ma l’inseguimento dell’Ira è ancora in fieri. Per questo si ritorna al tema più urgente di tutti: la sovranità europea di fronte al mondo che si muove. Problema politico, perché le elezioni europee del 2024 potrebbero segnare un’avanzata dei partiti sovranisti e allora addio Europa più snella, quella solo intravista con il debito comune anti pandemia.
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