Il perfetto bipolarismo ma senza simmetria

ITALIA. Premierato e autonomia differenziata: un toccasana per l’opposizione. Di colpo si è ritrovata unita nel contrasto al governo su due importanti riforme istituzionali. Se teniamo conto del recente flop elettorale dei due partiti di centro, Italia Viva e Azione, viene da concludere che siamo entrati nell’era del perfetto bipolarismo.

Già nel corso della recente campagna elettorale e poi a urne aperte, s’è registrato il ruolo tendenzialmente dominante dei due partiti maggiori. Le altre forze politiche sono risultate, infatti, o fortemente penalizzate (Azione di Calenda, Italia Viva di Renzi e i Radicali della Bonino) o ridotte a junior partner delle due leader: Lega e Forza Italia, di FdI, 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra di Bonelli e Fratoianni, del Pd. La tendenza deve essere ben pronunciata se è riuscita a esercitare la sua forza in votazioni condotte col sistema proporzionale, che notoriamente disincentiva il serrare le file intorno al partito leader.

Bipolarismo certamente sì, ma con una doverosa avvertenza. Sono molti i tipi di bipolarismo. Il presente a noi pare possa essere definito un bipolarismo asimmetrico, oltre che zoppicante. Asimmetrico, perché i due poli non sono nelle stesse condizioni per esplicare a pieno le potenzialità del bipolarismo. Non a caso chi ha spinto maggiormente in questa direzione è stata Giorgia Meloni, ben sapendo che ne avrebbe tratto lei il maggior beneficio. La destra dispone, infatti, di una coalizione non solo collaudata, ma con tutti i partner interessati a giocare in squadra.

Diversamente, la sinistra si ritrova con una coalizione tutta da costruire e problematica da ottenere. Non solo le distanze politiche su temi cruciali, come la politica estera e le alleanze internazionali, sono difficilmente colmabili, ma gli stessi assetti interni alla coalizione (campo largo o campo ristretto, con o senza Calenda e Renzi?) e ai partiti (in particolare i 5 Stelle, in subbuglio dopo il cattivo risultato elettorale delle Europee) non sono facili da pacificare. Oltre che asimmetrico, il bipolarismo è anche zoppicante. Non è ancora chiaro se riuscirà, e come, a riassorbire la terza gamba del centro.

Per realizzare un bipolarismo compiuto mancano quindi due condizioni da soddisfare. Primo: la liquidazione del centro. Con il flop elettorale di Azione e di Stati Uniti d’Europa, forse il suo destino è segnato: finire frammentato o confluire direttamente in uno dei due poli. Più difficile da superare è il secondo ostacolo: amalgamare i poli al loro interno. La maggioranza di centrodestra è unita in Italia e divisa in Europa. L’opposizione è ancora alla ricerca di unità. La Meloni sta soffrendo le impuntature di Salvini su molti temi divisivi. Schlein dice di aver ridotto le distanze da Meloni. Si sono allontanati, però, i 5 Stelle. La somma non cambia. In politica poi, non sempre 2+2 fa 4. Talora fa solo 3. Quello della Schlein non è un problema puramente di numeri, ma anche di compatibilità politica dei partner dell’erigenda alleanza, persino delle varie (chiamiamole) anime del suo partito. Nelle recenti elezioni c’è stato il miracolo. I cacicchi che la neosegretaria s’era ripromessa di far fuori, invece di rivelarsi una zavorra, sono stati il propellente del suo successo.

Ma i miracoli non si ripetono facilmente. Soprattutto, si realizzano più nelle urne che al governo. Per due volte, nel 1996 e nel 2006, il centrosinistra è riuscito con Prodi a coalizzare tutta la varia opposizione. Bastò, però, a vincere ma non a governare. C’era voluto comunque il ricorso a un «Papa straniero», esterno cioè ai partiti, ma oggi dov’è il Prodi di turno?

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