L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 04 Agosto 2019
Il Pd e la paura
di perdere consensi
Una bufera si è scatenata in settimana sul deputato del Pd Ivan Scalfarotto. La colpa? Essere andato nel carcere di Regina Coeli a Roma per verificare le condizioni di Christian Gabriel Natale Hjorth e Elder Finnegan Lee, i due giovani americani accusati del tremendo omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega. L’ispezione è avvenuta mercoledì e il parlamentare ha messo la notizia sul suo profilo Facebook, raccogliendo appena 22 commenti. Ma è poi stata rilanciata dal profilo del ministro dell’Interno Matteo Salvini e da quel momento nell’arco di una giornata la pagina di Scalfarotto è stata invasa da 340 mila messaggi, in netta prevalenza offensivi, volgari quando non violenti.
Le reazioni più imprevedibili però sono state quelle della parte politica del deputato, il Pd appunto. L’ex ministro Carlo Calenda è stato il primo a reagire giovedì: «Spero che sia il caldo. Perché tra Gozi ieri (entrato nello staff del presidente francese Emmanuel Macron, ndr) e Scalfarotto oggi vi giuro che stiamo raggiungendo vette di stupidità mai prima conquistate nella politica contemporanea». Poi è arrivata la posizione ufficiale dei dem, una presa di distanza netta: «Quella di Scalfarotto è una sua iniziativa personale. Rientra nelle sue prerogative di parlamentare ma ripeto è una sua iniziativa non fatta a nome del Pd», ha commentato il segretario Nicola Zingaretti. Parole che non entrano nel merito della vicenda ma circoscrivono le responsabilità tradendo la paura di perdere consensi, dopo i silenzi sulla riforma della giustizia di marca grillina. Il gesto del parlamentare è sicuramente molto impopolare me rientra nelle prerogative della carica e ha precedenti illustri: dai politici in visita Erika e Omar, gli allora minorenni che nel 2001 uccisero a Novi Ligure la mamma e il fratello di lei, a chi ha incontrato Massimo Bossetti, condannato per il delitto di Yara Gambirasio.
La domanda popolare in questi casi è sempre la stessa: perché preoccuparsi di chi è accusato di un omicidio e non dei familiari della vittima? Scalfarotto non si è sottratto al quesito: «In questi casi la politica fa molto presenzialismo. A rendere omaggio a Cerciello Riga sono andati tanti miei compagni di partito. Se avrò la possibilità di incontrare la famiglia lo farò con una commozione profondissima, e spero possa accadere. Ma il collegamento è sbagliato: in uno Stato di diritto è doverosa la solidarietà per la vittima, ma lo Stato deve rispettare anche chi ha commesso il crimine più efferato».
Stato di diritto è concetto oggi poco in voga. È la forma di governo per cui i poteri sono attribuiti, regolati e limitati appunto dal diritto. Ne godiamo o ne dovremmo godere tutti, compresi i carcerati. Il manicheismo con cui è stata giudicata l’immagine che ritraeva Christian Gabriel Natale Hjort con le mani ammanettate dietro la schiena e gli occhi bendati è sbagliato: sorprendersi per quella foto non vuol dire essere contro il carabiniere ucciso e a favore del reo. È un pensiero grave. Ci sono norme delle forze dell’ordine che regolano gli interrogatori: quella pratica era fuori dal diritto tant’è che il carabiniere ritenuto responsabile è stato trasferito dai Comandi dell’Arma ad altra caserma. Mentre la procura di Roma esclude ogni forma di costrizione nell’interrogatorio, la difesa potrebbe usare quell’immagine per sostenere che la confessione dell’omicidio è stata estorta.
Visitare i carcerati per i cristiani è la sesta opera di misericordia corporale. Per i parlamentari un diritto e un dovere. Ma farebbe bene anche alle toghe. Un alto magistrato, Piercamillo Davigo, già componente del pool di Mani Pulite e oggi del Csm, ha definito «una balla» il sovraffollamento carcerario (60.476 detenuti a fronte di 50 mila 528 posti, tant’è che il ministero della Giustizia sta pensando di aprire penitenziari nelle ex caserme) e «deficienti» chi fornisce i dati relativi. A Davigo, oltre a dire qualcosa invece sulla situazione disastrosa del Csm, farebbe bene un giro nei penitenziari. In uno Stato di diritto, in una civiltà, la giustizia deve essere giusta e certa, non prevedendo in Italia marcimenti nelle celle e lavori forzati. Non è la vendetta: quella vige nei regimi.
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