Il paradosso sui migranti

«Sono davvero pochi i lavoratori stranieri approdati in Italia attraverso un canale ufficialmente preposto per l’ingresso dei migranti economici; non è un caso quindi se crescono le preoccupazioni relative alla mancanza di manodopera». È questo solo uno dei tanti significativi punti di attenzione che emerge dal rapporto sulle politiche migratorie redatto dal gruppo di ricercatori della Fondazione Ismu, impegnato nella ricerca e nell’intervento per la trasformazione della società.

Di tutto ciò si era avuta già conferma l’estate scorsa quando, in presenza di una ripresa economica dopo la fase più acuta del Covid, molti settori produttivi avevano accusato pesanti carenze di personale, dal turismo all’autotrasporto, dall’edilizia all’agricoltura, dalla ristorazione all’assistenza familiare. Su questo fenomeno si è soffermata di recente anche la Fondazione Leone Moressa - specializzata nello studio delle fenomenologie e delle problematiche relative alla presenza straniera sul territorio - con un’analisi molto dettagliata condotta rielaborando i dati dell’Ufficio statistico dell’Unione europea (Eurostat) relativi al fenomeno dei permessi di soggiorno per lavoro.

Ebbene, l’Italia risulta essere il penultimo Paese dell’Ue, l’ultimo è la Grecia, per numero di permessi di soggiorno per lavoro ad extracomunitari. I permessi di questo tipo da noi sono infatti pari all’1,7% ogni diecimila abitanti, contro una media europea del 13%. Guardando più in particolare ai dati del 2020, sul totale dei permessi di soggiorno pari a 106 mila, l’Italia ne ha concessi meno del 10% per motivi di lavoro, attestandosi al quint’ultimo posto in Europa, dove la media è stata del 30%. In termini assoluti, risultiamo dietro Romania e Slovacchia la cui popolazione è di molto inferiore alla nostra. La Fondazione sottolinea, in particolare, come «assai sorprendenti sono i dati dei Paesi del gruppo Visegrad, da sempre ostili all’accoglienza dei migranti».

La Polonia, che in questa terrificante invasione dell’Ucraina da parte della Russia si sta dimostrando molto ospitale nei confronti dei migranti in fuga dalla guerra, è la prima in assoluto nella Ue per permessi di soggiorno per lavoro (101 mila). Ancor più sorprendente è che l’Ungheria di Orban, noto teorizzatore di muri e recentemente confermato nel ruolo di premier, ne abbia concessi 32 mila (il triplo dell’Italia), pur avendo una popolazione pari a un sesto della nostra. La Germania, con 313 mila permessi, rappresenta un caso a parte perché ha privilegiato i ricongiungimenti familiari, tenuto conto degli oltre 15 mila immigrati presenti sul proprio territorio.

Ciò che inquieta dalla lettura di questi dati è come il quadro reale risulti in evidente controtendenza rispetto alla narrazione politico-mediatica predominante imbastita in questi ultimi anni, fondata sulla necessità di realizzare un’assai improbabile distinzione tra migranti economici e richiedenti asilo. Anche di fronte al dramma degli ucraini in fuga, spesso trucidati in itinere, c’è stato chi, evidentemente afflitto dalla quotidiana necessità di recuperare consensi, si è soffermato a richiamare questa improbabile narrazione.

L’ingiustificabile disallineamento dell’Italia rispetto alle politiche migratorie poste in essere dalla stragrande maggioranza dei Paesi europei è frutto dello sterile confronto di posizioni emerse in occasione di vari flussi migratori, contrassegnate da vere e proprie contrapposizioni sterili e duri scontri, spesso finiti in Parlamento, tra «innocenti buonisti» e «retorici dei muri». Tutto ciò, in assenza di una seria analisi strategica su come realizzare politiche migratorie che fossero in grado di coniugare l’accoglienza e l’integrazione con azioni di contrasto all’immigrazione irregolare.

Sempre secondo l’Ismu, «l’Italia è diventata uno degli interpreti più fedeli dell’opzione zero, quella di tenere chiuse o quasi le porte per gli ingressi legali». Tutto ciò finisce con l’alimentare le note, troppo spesso tragiche traversate delle finte speranze, gli ingressi clandestini e un perenne, barbarico mercato di trafficanti d’uomini. Non si può dunque non essere d’accordo con le conclusioni cui giunge l’Ismu: «Il sostanziale azzeramento degli ingressi programmati rappresenta una situazione del tutto incoerente con il ruolo dell’Italia».

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