Il nuovo ponte sull’Adda: una vera emergenza per il nostro territorio

ITALIA. Finirà all’italiana con la classica proroga? Facile. Del resto procrastinare fino all’impossibile è uno dei fondamenti del nostro Paese, se necessario fino all’irreparabile.

Lungi da noi fare gli uccelli del malaugurio, ma la situazione del ponte San Michele, monumentale struttura di fine ’800 che collega le sponde bergamasche e lecchesi dell’Adda, è decisamente preoccupante: per farla breve tecnicamente ha ancora 5 anni e mezzo di vita davanti a sè, poi dovrà essere chiuso. Non è una notizia e nemmeno una novità, visto che il termine era stato messo nero su bianco nella relazione di accompagnamento dei lavori (urgentissimi) di ristrutturazione terminati nel 2020: 10 anni, ovvero fine 2030.

Un piccolo passo indietro per contestualizzare la vicenda: nel settembre 2018 il ponte viene chiuso in fretta e furia perché da alcune rilevazioni ci sono dei parametri decisamente allarmanti. Con molta celerità viene predisposto un piano di intervento e di ristrutturazione del manufatto che rimane chiuso per un anno al traffico automobilistico e per due a quello ferroviario. Nel settembre 2020 tutto torna alla normalità, attraversamenti a velocità contenuta compresi, ma la prospettiva è già chiara: il ponte ha oltre 130 anni di vita e li dimostra tutti, quindi dopo altri 10 va in pensione. Punto.

Siamo a metà 2024 e poco o niente è stato fatto. Sul tavolo ci sono sì progetti, ipotesi su questa o quella soluzione, questo o quel tracciato, ma manca ancora e l’accordo sul territorio. Nella migliore delle ipotesi (ma proprio nella migliore) l’iter per la realizzazione durerà 9 anni e quindi si arriva al 2033. Ci sarà una deroga? La risposta di Rfi in V Commissione regionale è stata (necessariamente) interlocutoria, quindi ben poco rassicurante: dipenderà dallo stato del manufatto nel 2030, se rientrerà cioè nei parametri di sicurezza. Fermo restando che bisogna vedere se qualcuno si prenderà la responsabilità di una proroga.

Insomma, senza girarci intorno tanto, la situazione è semplicemente drammatica e impone un sano realismo, perché in questo Paese rispettare le scadenze è pura fantascienza. Paradossalmente qui il dato economico è l’ultimo dei problemi, si tratta semmai di trovare un’intesa tra posizioni distanti se non contrapposte, con sullo sfondo la necessità di non alterare il delicato equilibrio paesistico di una delle zone più caratteristiche della Lombardia.

Ma il nuovo ponte sull’Adda è soprattutto un’emergenza e come tale va trattata perché il territorio non può sopportare un altro stop come quello del 2018, tanto più in un contesto dove alternative praticabili non ve ne sono e i ponti esistenti sono già al limite. Serve non solo una soluzione, ma un’accelerazione decisa e decisiva nell’iter. L’Isola, il Lecchese e la Brianza sono tra le zone più produttive e vissute del Paese, ogni giorno ci passano migliaia di pendolari, studenti e lavoratori che nel 2030 rischiano di rivivere l’incubo di qualche anno fa. Per questo bisogna fare presto e non continuare nel rimpallo di responsabilità e decisioni al quale assistiamo da quasi 4 anni. Ci sono tempi tecnici, per carità, e il confronto è sacrosanto ma questa è un’emergenza e come tale va trattata: dando risposte oggi, perché domani è già tardi.

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