L'Editoriale
Martedì 05 Marzo 2019
Il nuovo Pd a sinistra
con il nodo 5 Stelle
Gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto danno il Pd in leggera crescita, intorno al 19%; viceversa il M5S prosegue nella discesa e si attesta poco sotto il 22%, oltre dieci punti in meno rispetto alle ultime elezioni politiche ma in linea con i recenti risultati regionali. Dunque il Pd che Nicola Zingaretti prende in mano sembrerebbe ad un passo dal contendere ai grillini il secondo posto nella graduatoria del partiti italiani. Se così fosse davvero, i democratici potrebbero risalire la soglia psicologica del «terzo perdente» e provare a ripristinare il tradizionale bipolarismo sinistra-destra candidandosi ad essere il vero avversario della Lega di Salvini, assiso sul suo trono del 35% e passa di voti.
La crisi che sta aggredendo il M5S aiuta il Pd del post-renzismo, intenzionato a riprendersi la quota di elettori emigrati tra le braccia di Di Maio. La strada è lunga e per nulla agevole, e tuttavia le contraddizioni del governo giovano all’opposizione di sinistra in vista delle europee di maggio. Non a caso la prima «uscita» del neo-segretario democratico è stata a Torino per incontrare il governatore (uscente e ricandidato) del Piemonte Chiamparino e sposare la sua causa pro-Tav: «È criminale sprecare tanti investimenti e posti di lavoro» ha detto Zingaretti. Seconda tappa, la marcia degli studenti a difesa dell’ambiente per ribadire l’anima ecologista della sinistra e cercare di cogliere il consenso dei più giovani.
È chiaro che il governatore del Lazio – una carriera tutta interna alla sinistra ex comunista e pidiessina – intende riportare l’asse del Pd verso un versante progressista da cui l’aveva allontanato la segreteria Renzi che perseguiva semmai una politica di riformismo centrista: c’è da giurare che Zingaretti non sfiderà la Cgil di Landini come invece ha fatto Renzi varando la riforma del Jobs Act, sostenendo la politica di Marchionne e in generale adottando una politica sociale di liberismo temperato. Quando parla di «discontinuità», il segretario eletto con quasi il 70% dei voti alle primarie non si spinge a chiedere la cancellazione delle riforme dei governi renziani (come invece fanno LeU e, in generale, i fuoriusciti dal partito) ma certo vuol dare alla sua leadership un carattere decisamente a favore dei ceti popolari, quelli da cui il Pd «dei centri storici» si è più distaccato regalando i voti delle periferie alla Lega. Spostare l’asse a sinistra, tuttavia, potrebbe però far correre a Zingaretti un rischio: scoprirsi con i ceti medi, la borghesia produttiva e intellettuale, che potrebbe ritrovarsi improvvisamente priva di riferimenti politici di centro-sinistra. Per il momento Renzi ha proclamato la lealtà verso il suo successore e ha accantonato i progetti scissionistici che pure aveva accarezzato, ma certo il suo pellegrinaggio per tutte le piazze d’Italia - dove peraltro è seguitissimo - sta a dire che l’ex premier si tiene aperte tutte le strade, e i circoli messi in piedi ovunque restano attivi. Un punto su cui Renzi chiederà di mettere alla prova la affidabilità di Zingaretti è proprio il rapporto con il M5S: benchè il segretario eletto abbia mille volte smentito di volersi un giorno alleare con i grillini in funzione anti-Lega (come peraltro ha fatto proprio nella sua Regione Lazio), tuttavia il sospetto dei renziani resta. I tanti appelli di giornali e intellettuali di riferimento perché il Pd dialoghi con il M5S «per staccarlo dalla destra» mantengono viva la diffidenza di chi, come il renzianissmo Giachetti, fa sapere che sarebbe pronto a «togliere il disturbo» se il Pd facesse una tale virata.
In ogni caso una nuova stagione è avviata, e dopo un anno di depressione il Pd ha dimostrato di essere ancora in campo con una vasta mobilitazione popolare e con un leader credibile e presentabile. Questo vuol dire che anche l’opposizione sarà rinvigorita soprattutto se il Governo sarà costretto nei prossimi mesi a fare una dolorosa manovra correttiva dei conti pubblici.
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