Il muro di Gorizia
La rotta ignota

Mentre l’attenzione mediatica nel fine settimane era tutta concentrata sulla vicenda umana e giudiziaria della nave da salvataggio «Sea Watch», nelle stesse ore il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga (Lega), annunciava in un’intervista al «Fatto quotidiano» l’ipotesi di erigere una barriera lungo il confine con la Slovenia. L’annuncio svelava una notizia: la cosiddetta rotta balcanica dei migranti non è chiusa (non lo è mai stata) e, secondo il principio dei vasi comunicanti, alla frenata degli sbarchi sulle nostre coste corrisponde un aumento dei tentativi di entrare in Italia dalla ex Jugoslavia.

Il flusso, ripreso in modo consistente ma gestibile già nello scorso anno, si è ulteriormente intensificato da gennaio. In tutto il 2018 - secondo i dati del Dipartimento della Pubblica sicurezza - 446 stranieri irregolari sono stati rintracciati nelle zone del confine sloveno. Nei primi cinque mesi del 2019 i migranti irregolari in quell’area erano già 652, cui vanno aggiunti gli oltre 130 individuati finora a giugno.

Si registra dunque quasi un raddoppio degli arrivi dalla Slovenia rispetto al 2018, solo nel primo semestre di quest’anno. E 121 sono stati rintracciati nelle zone di confine con l’Austria. Numeri che hanno fatto accrescere l’attenzione del Viminale sulla rotta di terra del Nordest. Al 29 giugno le pattuglie slovene al confine con la Croazia hanno rintracciato 5.306 irregolari in territorio sloveno. Nel 2018 erano stati 3.612. Per lo più afghani, algerini e pachistani.

Le cifre sono ancora esigue ma potrebbero aumentare, tenendo conto della situazione dei campi di accoglienza in Grecia, debordanti di fuggiaschi e in pessime condizioni igienico sanitarie. Molti «ospiti» potrebbero essere tentati dalla ripresa del viaggio in direzione Nord. A un certo punto del cammino però incontrano un muro vero, quello eretto dall’Ungheria del premier Viktor Orban, amico e sodale del nostro ministro dell’Interno Matteo Salvini. Sono quindi costretti a girovagare per la Serbia o a dirigersi verso Ovest, passando per Bosnia, Croazia, Slovenia e quindi Italia.

Il governatore Fedriga si è subito rimangiato la dichiarazione sulla barriera di 243 chilometri lungo il confine italo-sloveno, una costruzione che costerebbe due miliardi di euro e che rimanda a periodi bui della nostra storia, alla cortina di ferro e a divisioni che l’Europa si è lasciata alle spalle. Quella del muro era una «licenza poetica» (?) ha detto Fedriga. Semmai verrebbero realizzati tratti di barriera nei boschi, là dove si incuneano le carovane di migranti. Del resto contrario al muro si è detto il sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna (Forza Italia). Intanto ieri sono partiti i primi pattugliamenti misti italo sloveni al confine.

La vicenda racconta alcune cose: la rotta balcanica non solo non è mai stata chiusa ma è luogo di bivacchi di povera gente intrappolata fra barriere, frontiere e veti. L’Europa e i suoi Paesi aderenti trattano i migranti come pedine di un gioco nel quale vince chi accumula meno pedine. L’Ue però ha pagato sei miliardi di euro alla Turchia perché tenesse alla larga i profughi siriani. Ricordate la foto di Alan Kurdi, il bambino curdo siriano riverso senza vita sulla spiaggia turca di Bodrun? La zia Tima ha scritto un libro («Il bambino sulla spiaggia») sulla storia della sua famiglia allargata, appartenente alla borghesia e costretta a fuggire dalla Siria dai bombardamenti di Assad e poi dai tagliagole dell’Isis. Una famiglia perbene, di brava gente, che in Turchia ha incontrato solo sfruttamento nel lavoro e speculazione sui prezzi delle case in affitto, al punto di rimettersi in viaggio sulla rotta balcanica, dove è morto Alan. La rotta delle speranze e del dolore.

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