Il mondo tecnologico
e i burosauri statali

«Tirannia burocratica» è il titolo di un libro scritto nel 1900 da un senatore del regno d’Italia, per stigmatizzare gli abusi delle amministrazioni. Una realtà tuttora presente. Ne dà esemplare prova un articolo pubblicato su un importante quotidiano. L’autore - eminente giurista, già presidente della Corte costituzionale - descrive, con toni tra il rammaricato e il faceto, la piccola odissea nel dover pagare una multa. Dal racconto emerge un quadro desolante delle tortuose continua a procedure e della difficoltà del trasgressore di far valere, se non altro, il diritto di essere ascoltato. Il Comune si mostra un muro. O di gomma, o di cemento armato. Sempre con il volto arcigno di un soggetto lontano, inafferrabile, sordo.

Un nemico piuttosto che un potere che dovrebbe esistere principalmente per tutelare diritti ed esercitare con giustizia le sue potestà. La disavventura è tutt’ altro che rara. Valga, come esempio, un fatto analogo. La scorsa estate uno dei miei figli fu multato per divieto di sosta nel comune di Formia. Il giorno seguente si affrettò a pagare. Sembrava questione conclusa. Niente affatto. A tre mesi di distanza arriva la richiesta perentoria di pagare entro cinque giorni, pena aggravio della sanzione, una multa per un’infrazione di agosto. Inizia la frenetica ricerca della carte. Fortunatamente mio figlio le aveva conservate. Chiama l’ufficio dei vigili urbani, fornisce le informazioni necessarie e si sente dire «tutto sistemato». Qui scatta la molla psicologica del cittadino tartassato, che non si fida: fa la scansione della documentazione e la invia con pecmail al comune.

Non sia mai che la stessa multa arrivi per la terza volta. Alle amministrazioni pubbliche sfugge il valore del tempo, che un cittadino perde, inseguendo procedure tortuose, passando ore al telefono ad aspettare di essere messo in contatto con un operatore, sentendosi prigioniero di una ragnatela di obblighi e di prescrizioni inutili. Si predica l’uso della telematica, ma in condizioni sdrucciolevoli, difformi, ineguali. La ragione è nota: l’Italia è in grave ritardo nella creazione di un ambiente digitale diffuso capillarmente e in maniera omogenea. La qualità e la velocità della banda larga sono lontane da un livello soddisfacente. Nel 2004 venne creata una agenzia apposita, l’AgId per favorire l’accessibilità alle pubbliche amministrazioni. I risultati, a 16 anni di distanza, sono sotto gli occhi di tutti.

Colpisce il fatto che coloro che presidiano tali processi di modernizzazione non riescano a valutare la distanza tra leggi e realtà. L’Italia è un paese orograficamente difficile con le sue montagne, le isole, i tanti piccoli (e piccolissimi) paesi nei quali l’uso del web è quasi proibitivo per l’assenza di una rete adeguata. I nostri governanti sembrano vivere in un mondo fatato, che non include, anzi tende ad escludere. Non si può fermare la digitalizzazione, ma occorre studiare modalità che evitino di tagliar fuori la fascia degli «esclusi»: per età, cultura, scarsa pratica con i sistemi telematici. La partita è decisiva; per vincerla occorrerebbe contare su competenze di prim’ ordine tra coloro che sono chiamati a governare i processi di innovazione dell’amministrazione.

Il perno dovrebbero essere i dipartimenti della Presidenza del Consiglio che si occupano della modernizzazione dell’amministrazione pubblica, ma il quadro è tutt’altro che rassicurante. Alla guida di tali apparati si non susseguiti responsabili politici di due tipi: alcuni con visione astratta e libresca del sistema pubblico; altri quasi ignari dei problemi da affrontare. A rendere difficile il compito è anche la incerta durata dei governi. Nel 1979 l’allora ministro per la Funziona pubblica, Giannini, stilò un progetto di riforma, calcolando in 5 anni il tempo per ottenere risultati apprezzabili. Dopo un anno non fu confermato.

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