L'Editoriale
Martedì 21 Maggio 2024
Il mondo che cambia nella scelta dell’Aja
MONDO. Vale la pena cominciare così: «Il diritto internazionale e le leggi sui conflitti armati si applicano a tutti. Nessun soldato di fanteria, nessun comandante, nessun leader civile, nessuno, può agire impunemente…».
« Niente può giustificare che gli esseri umani, tra cui tante donne e tanti bambini, vengano privati, in modo intenzionale, dei beni di prima necessità per la vita. Niente può giustificare la presa di ostaggi o l’attacco contro i civili… Se non dimostriamo la nostra volontà di applicare la legge in modo equo, se viene vista come applicata in modo selettivo, creeremo le condizioni per il suo crollo». Queste le parole con cui Karim Khan, procuratore della Corte Penale Internazionale, ha spiegato la sua clamorosa richiesta: mandati di cattura per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo militare di Hamas Yahya Sinwar. Inutile sottolineare l’ampiezza delle proteste: dagli Usa al Regno Unito, dall’Austria alla Repubblica Ceca, molti Governi sono intervenuti a criticare la richiesta e, soprattutto, a sottolineare che non si possono mettere sullo stesso piano lo Stato di Israele e un movimento terroristico come Hamas. Dalle autorità di Israele, accuse di antisemitismo e di complicità con l’aggressore, ovvero Hamas.
Karim Ahmad Khan, procuratore della Corte dal 2021, è un avvocato britannico specializzato a Oxford in Diritto penale internazionale. Ha indagato, anche su mandato Onu, su crimini commessi in Cambogia, Sierra Leone, Ruanda ed ex Jugoslavia come su quelli dell’Isis, e sul traffico di migranti in Libia. È stato lui a emettere il mandato di cattura contro Vladimir Putin. Non è uno sprovveduto e non è di parte. Mentre molte delle motivazioni usate per criticarlo sembrano, quelle sì, di parte. Se equiparazione c’è non è tra Israele e Hamas ma tra gli uomini che, da un lato e dall’altro, hanno ordinato le stragi. Sostenere il contrario vuol dire credere che a uno Stato siano consentite stragi che sono invece criminali se commesse da un movimento terroristico.
Anche l’argomento che in questo caso Hamas è l’aggressore e Israele l’aggredito rischia di pesare poco. È vero. Ma la maggior parte dei palestinesi, e molti intorno a loro (per esempio il presidente turco Erdogan), pensano che la nefanda strage di Hamas sia a sua volta una reazione alla brutale occupazione di Israele. E così via, indietro fino alla notte dei tempi. Poco conta, anche, che Israele, Russia, Usa, Cina e Ucraina non riconoscano l’autorità della Corte: perché, allora, Usa e Ucraina esultavano quando fu incriminato Putin?
Queste, però, sono discussioni che spettano ai giuristi. A noi un altro compito. Quello di registrare che, semplicemente e drammaticamente, il mondo sta cambiando e che certe politiche, che prima davamo per scontate, sono di giorno in giorno sempre più messe in discussione. Già l’iniziativa presa nel gennaio scorso dal Sudafrica, che ha denunciato Israele appunto davanti alla Corte dell’Aja, accusando lo Stato ebraico di «atti di genocidio contro il popolo palestinese, commessi o tollerati dal Governo e dall’esercito», è stata straordinaria, inimmaginabile anche solo pochi anni fa. Checché ne dicesse allora Netanyahu, la Corte diede una prima risposta molto moderata, chiedendo a Israele di prevenire e punire l’incitamento al genocidio e consentire gli aiuti umanitari, senza però chiedere anche un cessate il fuoco. Ma quello che contava era il segnale: il cosiddetto «Sud globale» non ci sta più, vuole contare, non vuole lasciare le grandi decisioni ai soliti pochi grandi Paesi e, nel caso specifico, vuole intervenire su quello che a torto o a ragione considera un ennesimo episodio di neocolonialismo.
È un sentimento di rivalsa, o di autocoscienza, con cui dovremo imparare a fare i conti. Il mutamento degli equilibri politici (pensiamo alla crisi dell’asse Francia-Germania in Europa), l’ascesa di nuove potenze, la crisi di certi assetti economici (secondo il Fondo monetario internazionale nel 2023 i Paesi del G7 hanno generato il 39% del Pil mondiale e quelli Brics il 43%) hanno aperto corridoi inattesi che nuovi protagonisti sono ansiosi di percorrere. La maggiore intransigenza nei confronti di Israele, considerato il caso più emblematico del «doppio standard» occidentale, è un segnale forte. Forse il più forte ma certo non l’unico.
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