Il ministro all’attacco, chi incassa il dividendo

ITALIA. Giorgia Meloni non c’era. Ha inviato i due ministri in causa, Matteo Piantedosi e Carlo Nordio, a spiegare ai parlamentari la condotta del Governo nel «caso Almasri» e a rispondere alle critiche dell’opposizione.

Il fatto che la presidente del Consiglio abbia deciso di non presentarsi ovviamente è stato motivo di attacco da parte di chi invece pretendeva che fosse lei ad assumersi la piena responsabilità dell’accaduto. Il calcolo di Palazzo Chigi è stato invece diverso. Con una aggiunta: i ministri in aula non si sono mossi in difensiva ma sono andati all’attacco della Corte penale internazionale e della magistratura. E il più duro - anche il più contestato - è stato proprio Carlo Nordio. Il Guardasigilli ha definito «un pasticcio frettoloso» il mandato di cattura, anzi addirittura «un atto nullo» con «una serie di criticità» che lo viziavano e che qualunque intervento del ministro sarebbe stato giudicato «inopportuno e illegittimo» dagli stessi giudici romani, e in ogni caso che lui, Nordio, «non è un passacarte» della Corte internazionale (un po’ riecheggiando quanto aveva detto Tajani: «Non è che la Corte sia la bocca della verità»). Questo per ciò che riguarda i giudici europei.

L’attacco alla magistratura

Poi l’affondo contro i giudici di Roma che, a detta del ministro, «si sono comportati in modo sciatto» tale da far pensare che il loro vero obiettivo sia quello di fermare le riforma della giustizia che il governo sta approvando. «Ma se questa è la finalità, devono sapere che noi andremo fino in fondo - ha proclamato il Guardasigilli - e arriveremo alla riforma finale». E poi l’ironia: «È stato detto che l’atteggiamento del governo ha compattato la magistratura contro le riforme; è il contrario, il comportamento di una parte della magistratura ha compattato la maggioranza facendo superare delle esitazioni che pure c’erano».

Oggi l’opposizione più caparbia alle politiche del governo (vedi il caso Albania) la sta facendo la magistratura più che un’opposizione indebolita dalle proprie divisioni

L’aula di Montecitorio è andata in ebollizione quando dal banco del governo si sono ascoltate queste parole molto somiglianti ad una dichiarazione di guerra. Che poi è quanto sta effettivamente accadendo e come un atto di guerra è stato giudicata la decisione del procuratore di Roma Lo Voi (che pure è un giudice che aderisce alle correnti di centrodestra della Magistratura) che ha inviato un’informazione di garanzia a mezzo governo (Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano) sulla base della denuncia dell’avvocato Li Gotti.

Le tensioni dell’opposizione

Insomma, un gran polverone. In cui l’opposizione ha suonato le sue trombe accusando Nordio di essere «il difensore di un torturatore» (Schlein) o addirittura «il suo giudice assolutore» (Conte) mentre Fratoianni ha sventolato in aula una gigantografia di una povera ragazza torturata nei campi libici rinfacciando a Nordio di proteggere il suo aguzzino. Chi si è tenuto in mezzo accusando sia la sinistra («anche voi avete trattato con i tagliagole libici») sia la destra («Avete compromesso la dignità dello Stato per la vostra incapacità») è stato Carlo Calenda.

Si tratta di capire chi trarrà un dividendo politico da questa battaglia. Tutti hanno capito che non potevamo permetterci di mandare in galera un generale libico con il quale evidentemente abbiamo rapporti di «do ut des» ottenendo che l’Eni estragga il petrolio libico e che le milizie locali frenino le ondate migratorie. E ugualmente tutti hanno capito che oggi l’opposizione più caparbia alle politiche del governo (vedi il caso Albania) la sta facendo la magistratura più che un’opposizione indebolita dalle proprie divisioni. Ma la somma di queste impressioni dell’opinione pubblica quale risultato elettorale darebbe?

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