Il metodo Draghi
Sistema blindato

l «metodo Draghi» emerge anche nel modello di comunicazione: rigorosa ed asciutta, tesa a far prevalere i fatti sulle parole, poiché occorre portare il Paese fuori dalla pandemia, combinando tale obiettivo con quello di dar fiato all’economia e di salvaguardare sia i livelli di occupazione, sia la qualità della vita dei cittadini. Gli italiani si aspettano «fatti e non parole». Di conseguenza, colui che guida l’azione di governo è attento a evitare proclami, preferendo far parlare i fatti. È una scelta che, nel tempo breve, può non dare frutti, ma ne darà di buonissimi se arriveranno i risultati indicati e sui quali il governo centrale e quelli territoriali sono impegnati in una fase non priva di difficoltà. Del resto, il criterio di azione del presidente del Consiglio si è visto già nei primi interventi istituzionali (il discorso alle Camere sulla fiducia).

Ancor più nettamente quel criterio ha avuto conferma nelle importantissime nomine (sostituzione del commissario per l’emergenza Covid; ritorno di Curcio alla guida della Protezione civile; scelta del nuovo capo della polizia al posto di Gabrielli, chiamato al governo) delle quali si è avuta notizia soltanto a cose fatte. Un sistema blindato, totalmente lontano da quello usuale, con l’indubbio vantaggio di evitare il chiacchiericcio sui papabili a questa o a quella «poltrona». Ma, soprattutto, con il risultato di rendere chiaro a tutti che chi ha l’onere di decidere lo fa senza bisogno di sottoporre le sue scelte all’opinione pubblica.

Nei fatti, e non nelle parole, lo stile comunicativo del governo in carica rappresenta un rovesciamento secco rispetto alle modalità che hanno prevalso in particolare nell’ultimo decennio. Il paradosso è nel fatto che il modo di procedere di questo governo sembra a molti un’anomalia, mentre è vero esattamente il contrario: la comunicazione politica non dovrebbe mai scadere nell’insulto gratuito, ma neanche nelle promesse a vanvera, nei proclami fantasiosi. Ed, invece, sembrava (e, per alcuni continua ad essere) una gara a chi la dice più grossa, a chi promette tutto a tutti, salvo sconfessare se stesso il giorno dopo, negando ciò che si è dichiarato il giorno prima, o sostenendo l’esatto contrario. A tale sciagurato «costume» ci eravamo assuefatti; per questo l’asciuttezza comunicativa voluta da Draghi finisce per sembrare una stranezza. Non lo è. Naturalmente, la sobrietà comunicativa inaugurata dal governo non implica che le istituzioni debbano restare mute. Tutt’altro. È, quindi, sperabile che vengano avviate dosate e incisive campagne di comunicazione sui temi più scottanti.

In primo luogo sulle vaccinazioni, con l’obiettivo di diradare le incertezze su tempi e modalità della loro somministrazione. Esempi virtuosi non mancano, basta riandare con la memoria alla campagna sull’introduzione dell’euro, finalizzata a spiegare cosa sarebbe cambiato con la nuova moneta e cosa era necessario fare per evitare di restare con le lire sotto il materasso. Su tale tracciato occorre tenere costante il dialogo tra istituzioni e cittadini, evitando slogan ad effetto o atteggiamenti da campagna elettorale perenne. In tal modo se ne gioverà l’azione di governo e se ne gioverà il Paese. L’aplomb e la compostezza possono, in realtà, ben coesistere con atteggiamenti di immediata presa comunicativa. Ne ha dato un saggio Draghi nel suo intervento all’hub vaccinale di Fiumicino, chiedendosi con un sorriso perché mai usasse tante parole inglesi. Con una frase accattivante, ed esemplare per la capacità di dare leggerezza alla serietà degli argomenti.

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