L'Editoriale
Lunedì 02 Ottobre 2023
Il messaggio per l’Europa che parte da Bratislava
MONDO. La vittoria che gli elettori slovacchi hanno concesso al partito socialdemocratico Smer (24% dei voti) e soprattutto al suo leader Roberto Fico è, senza ombra di dubbio, un campanello d’allarme per l’intera Europa.
Però bisogna essere corretti nel decifrare come e perché. Due sono gli aspetti. Il primo riguarda proprio Fico, la sua biografia politica e personale. Fico è un protagonista ormai storico della politica slovacca: ha vinto le elezioni nel 2006, nel 2010 (non riuscendo però a formare una coalizione di Governo), nel 2012 e nel 2016. E anche chiamarlo antieuropeista non sarebbe giusto: fu con i suoi governi, nel 2007 e nel 2009, che la Slovacchia e i suoi 5 milioni di abitanti entrarono nell’area Schengen e poi nell’euro. E’ più simile a un populista alla Orban, che cerca di sfruttare l’Europa più che promuoverla. Ma soprattutto è un politico come se ne vedono spesso nell’Est europeo, segnato in modo pesante da frequentazioni più che sospette.
Nel 2018 Fico dovette dimettersi dal ruolo di premier dopo l’assassinio del giornalista Jan Kuciak, che stava indagando sui legami tra alcuni suoi stretti collaboratori e la ‘ndrangheta. Da allora Fico è inseguito dai processi e non v’è dubbio che, se andrà al Governo, userà il rinnovato potere per liberarsi dei problemi personali. Questo è, appunto, il primo aspetto di cui l’Europa deve preoccuparsi: la possibilità che nel cuore del continente si insedi (di nuovo) un politico che quanto a opacità e corruzione replica quanto di peggio negli anni recenti si è già visto in Russia, in Ucraina e in altri Paesi della regione.
Il secondo problema di cui tener conto è che Fico è notoriamente contrario all’invio di armi e aiuti militari all’Ucraina e mostra una certa simpatia per Vladimir Putin. In campagna elettorale ha proclamato che se Putin arrivasse in Slovacchia lui non farebbe applicare il mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aja, e ha partecipato a manifestazioni contro la presenza delle truppe americane in Slovacchia. Anche qui, però, bisogna intendersi: se domani la Slovacchia cessasse del tutto di sostenere l’Ucraina, l’effetto sarebbe impalpabile. Il Governo slovacco è stato tra i primi a donare a Kiev i suoi vecchi caccia Mig di epoca sovietica, e poi armi leggere, munizioni, elicotteri, sistemi di sminamento. Ma stiamo parlando, in tutto, di un valore di 170 milioni di euro (un paragone: secondo Ukraine Support Tracker, nel primo anno di guerra l’Italia ha versato 660 milioni di aiuti militari, più 310 di aiuti finanziari e 50 di aiuti umanitari) che comunque hanno svuotato gli arsenali slovacchi. E’ probabile che Fico non voglia più aiutare l’Ucraina per ragioni politiche ma in ogni caso ha ormai nulla dopo il poco di prima.
La Von der Leyen e gli altri responsabili dell’Unione Europea, però, devono stare attenti al messaggio che la nuova vittoria di Fico trasmette. Si pensa da tempo che le opinioni pubbliche di diversi Paesi non siano allineate con la politica di sostegno incondizionato all’Ucraina di cui la UE è paladina e i Governi nazionali sostenitori. E la prima nazione, sia pur piccola, sia pur di scarso «peso» economico e militare, che è andata al voto, dividendosi proprio su questo tema, sembra dimostrarlo.
Anche perché al terzo posto, dopo gli europeisti del Ps di Michel Simecka (18%), è arrivato (15%) lo Hlas di Peter Pellegrini, ex compagno di partito di Fico, più moderato ma con idee assai simili.
Ora Fico, per andare al Governo, sarà costretto a formare una coalizione, a concedere qualcosa agli alleati (Pellegrini per primo) e quindi ad annacquare le proprie posizioni. Ma una volta formato il Governo? E in ogni caso, che potrà accadere tra un anno, quando gli slovacchi dovranno eleggere il nuovo Presidente?
© RIPRODUZIONE RISERVATA